lunedì 28 gennaio 2013

Sabato 16 febbraio 2013 alle ore 21 a Cura Carpignano
Presentazione del volume


La nosa Pavia in fotografie e poesie dialettali
di D. Morani, A. Ferrari, W.Vai

 
 
Ecco cosa resta. L’immensità di un immagine. Le figure si confondono con le parole e hanno il gusto della poesia. Ci sono cose che parlano da sole, altre che fanno parlare tutta una vita. È tutto qui. Nei discreti ed eloquenti personaggi e paesaggi fermati da una pellicola o da un verso. Qualcosa che ti porta con sé e ti spinge a parlare di te stesso. È madama Pavia che, presa la parola, si racconta come solo lei sa fare. E guarda negli occhi chi fa il “click”. E sussurra, chissà quali parole, a chi le dedica una poesia. Terribile Pavia, così ricca di sentimento e di sensazioni. Eppure è semplicemente così: bella. Quando la bellezza si dipana tra cose semplici, per questo eterne, siano esse figure o frasi, si rivela in tutto il suo essere. Allora è un piacere passeggiare per le sue vie, passeggiare addosso a lei. E i nostri passi sono carezze di cui la Città sorride. Ecco il perché di questo bel volume, fatto di vista e di cuore. “Voi che per gli occhi mi passaste il core” scriveva un signore di Firenze impregnato di Stilnovismo. Tu, Pavia, che attraversi i nostri occhi riesci a dare del TU al nostro cuore e ancora e sempre ci parli.
Ci volevano loro. Questi fotografi e questi poeti. Loro traducono ciò che una città bisbiglia da millenni e che continuerà a dire. Senza Fretta. Con tutta la bellezza che le si addice. I suoi occhi sono affidati a Antonio Manidi e a Barbara Pinca. La sua voce a certi ragazzacci che giocano con le parole e col sentimento, Morani, Ferrari, Vai

Ascoltiamoli e vediamoli. Madama Pavia, dal canto suo, sorride. E ci terrà volentieri compagnia lungo queste belle pagine.

Prefazione di Andrea Borghi

La nosa Pavia in fotografie e poesie dialettali, di D. Morani, A. Ferrari, W.Vai, Luigi Ponzio e figlio editori.

 

 

sabato 19 gennaio 2013




Venerdì 25 gennaio 2013 presso le ex scuole elementari di Scaldasole (PV)
  

 Le terzine perdute di Dante (Baldini e Castoldi)
di Bianca Garavelli

 


Interverranno

Donatella Prina e Andrea Borghi

Sarà presente l'autrice

Storia di Pavia dalle origini all’Unità d’Italia

di Marco Galandra

  

Piacevole ed interessante, questo libro è un viaggio attraverso la storia della nostra cultura. L’autore ci guida fin dalle origini di Pavia, quando a farla da padrona è ancora la leggenda. Decisamente bella e toccante è infatti la prima parte in cui Marco Calandra immagina l’arrivo, sulle sponde del Ticino, di un uomo appartenente alla popolazione dei Celti che, guardando queste terre, dice alla sua gente: “E’ bello, qui”. E’ questo l’inizio di una storia che nasce dall’affascinante e misteriosa nebbia della leggenda per rischiararsi e rispecchiarsi nella verità dei riferimenti storici.
Lungo i diciannove secoli presi in esame, scorrono la nascita, lo sviluppo e la vita di una Pavia in continuo cambiamento, ora assediata, ora dominatrice, ma sempre presente, sempre importante. Ne scaturisce l’immagine di una città che ha saputo “essere partecipe” alla Storia, che ha ospitato goti, bizantini, longobardi e, prima ancora, i romani, in un susseguirsi di popoli che hanno comunque lasciato preziose tracce del loro passaggio.
Opera ben strutturata, è divisa in cinque parti ognuna delle quali tratta un determinato periodo. Ciò che emerge da queste pagine non è solo un resoconto di eventi accaduti, ma anche e soprattutto la storia vista con gli occhi dei grandi personaggi che l’hanno caratterizzata. Da Boezio ad Alboino, dagli Sforza ai Visconti, dagli spagnoli a Defendente Sacchi, davanti agli occhi del lettore sfilano quegli uomini che, illustri o sconosciuti, importanti o umili, con le loro azioni ci hanno consegnato la Pavia in cui noi viviamo.
Scritto in uno stile piano, semplice e chiaro, il libro è indirizzato a tutti, esperti, curiosi, giovani e meno giovani.
Segnaliamo con particolare attenzione le numerose immagini che riempiono non solo le pagine, ma anche la narrazione. Anche queste figure, tratte da fonti autorevoli, ci permettono di conoscere e di vedere meglio la nostra storia.

 

Storia di Pavia dalle origini all’Unità d’Italia di Marco Galandra, Gianni Iuculano editore.

La zia Fiorina ci metteva i capperi

 di Franco Casella
 
 

Che cosa succede se, davanti a i fornelli, si incontrano una signora pavese e una palermitana? E’ quello che Franco Casella ci racconta in questo libro che non esitiamo a definire, in tutti i sensi, gustoso. Eufemia, lombarda, e Fiorina, siciliana, ci hanno lasciato due ricettari che l’autore del volume affianca, confronta e fa parlare.
Donne completamente differenti, sono accomunate dallo stesso, profondo amore per la cucina. Per entrambe cucinare è molto più che un susseguirsi di azioni per preparare il cibo, è un rito quotidiano che ribadisce e mantiene sempre la sua sacralità.
In queste pagine Pavia e Palermo si mettono il grembiule e danno sfogo alle loro tradizioni, ma anche a tutte quelle personali “modifiche” che, apportate a una ricetta, diventano piccole, grandi invenzioni.
Eufemia e Fiorina sanno cucinare anche perché riescono a dare il giusto sapore alle diverse occasioni della vita, rendendole più piacevoli da attraversare. Così dai cannelloni alla siciliana e dal brasato in uno sfarzoso pranzo di nozze, si passa, senza problemi, ai semplici, prelibati crostini di pane per una colazione sull’erba.
Questo non è solo un libro di ricette. Leggendolo si conoscono due vite, certamente raccontate dalla voce dell’arte culinaria, ma anche illustrate dall’abile penna di Casella, persona ironica, divertente, precisa e dalla prosa piacevolissima. Segnaliamo particolarmente le brevi introduzioni a ogni capitolo che, un po’ vere e un po’ fantastiche – e proprio questo è il bello –sanno dipingere bene una situazione, i suoi gusti, la ricetta adeguata.
Queste pagine non vanno solo consultate, ma lette e apprezzate. Con calma, a fuoco lento.


 

Tratto dalla rubrica Un libro alla settimana de Il Punto.

Zinasco e il suo territorio

di Romano Bergamo
 
 

Zinasco e il suo territorio è un libro che nasce dal grande affetto di Romano Bergamo per la terra in cui vive. Il volume si apre con una breve, ma interessantissima storia della Lomellina. Con un attento studi, l’autore ci offre uno spaccato di civiltà che hanno vissuto in questa zona, colonizzandola, imponendo i loro usi e la loro cultura. Celti, Liguri e Romani sono le genti che hanno lasciato i segni più importanti, ancora oggi tangibili, nell’archeologia quanto nella toponomastica. Lo stesso nome di Zinasco riassume bene il passaggio di queste popolazioni: “Accenna” per i Celti, “Accennasco” per i Liguri, “Zenasco” e “Zinasco” per noi. Una parte è giustamente dedicata ai corsi d’acqua che attraversano la zona: il Po e il torrente Terdoppio. Con le loro piene e le loro alluvioni hanno cancellato e rimodellato il territorio.
La parte principale di tutta l’opera resta però quella dedicata al luogo in cui è vissuto l’autore. Il suo comune è composto da ben cinque frazioni: Zinasco Vecchio, Zinasco Nuovo, Sairano, Bombardone e Cascinino. A ognuna di esse è dedicato un capitolo.
Questo libro non è solo una raccolta di notizie storiche riguardanti un territorio. E’ soprattutto una finestra che si apre sul passato di un comune, della sua gente, della sua quotidianità. Infatti le pagine sono arricchite anche da fatti di cronaca di epoche differenti che ben ritraggono la vita, gli incidenti, il lavoro e, a onor del vero, anche i delitti commessi.
Proponendo queste vicende, Romano Bergamo ci permette di assistere alle reazioni, alle voci, ai comportamenti di persone che, in un passato antico e recente, vivevano in modo diverso la gioia di una festa, la fatica di un lavoro, lo sgomento per un delitto. Una sezione sicuramente degna di nota è quella riservata alle cascine presenti nella zona. L’autore elenca quelle ancora esistenti, quelle scomparse e quelle che hanno cambiato nome. Anche per questi agglomerati urbani, piccoli di dimensioni, ma grandi di famiglie e di tradizioni, si descrivono le origini, i passaggi di proprietà, la decadenza o la ricchezza. Segnaliamo volentieri, oltre alle numerose foto d’epoca che impreziosiscono il volume, anche il diligente esame dei fatti storici basato su un cospicuo “corpus” bibliografico e documentaristico di circa un centinaio di fonti. “Zinasco e il suo territorio” vanta una presentazione del professor Xenio Toscani.

Torre d’Isola di Alberto Arecchi
 
 

In questo appassionato e appassionante libro, Alberto Arecchi ci regala un affascinante viaggio nella storia di un paese. E proprio Torre d’Isola è il “punto di osservazione” da cui guardare, conoscere e gustare gli eventi che, attorno, si sono succeduti. Con un’accurata, attenta e precisa indagine, l’autore presenta questo luogo fin dagli antichi tempi dei Liguri e dei celti, le cui usanze ammantano i fatti di leggende, rendendoli ancora più gradevoli, accattivanti, piacevoli.
Gli avvenimenti si dipanano mano mano con la Storia che, “magistra vitae”, permea le pagine di questo volume, presentando una stupenda cronologia di uomini e di vicende. Davanti agli occhi del lettore si apre una sbalorditiva sfilata di personaggi che hanno vissuto e cambiato l’esistenza d Torre d’Isola. Pensiamo a quell’antico guerriero che cede la sua spada di bronzo al Ticino perché la faccia ritrovare dopo una piena, a qualcuno che, ai giorni nostri, la vede spuntare, quasi per caso, dalla sabbia bianca del fiume; o all’inedita figura di Carlo Magno che da sovrano indiscusso diventa muratore per partecipare in prima persona alla costruzione della Cappella di Santa Sofia.
La suggestiva carrellata di uomini che, in un modo o nell’altro, sono passati attraverso la storia di questo paese, comprende anche Papa Gregorio V il quale, secondo una leggenda, si ammalò di malaria proprio sulle rive del Ticino. Forse per il clima o forse, a detta di qualcuno, per un castigo divino. Anche Galileo si fermò a Santa Sofia per sperimentare alcuni studi sul volo. Interessanti, inoltre, sono le vicende dei marchesi Botta Adorno, signori del luogo. Tra le altre cose fecero costruire, vicino alla chiesa, la bellissima villa in cui pare si aggiri ancora oggi il fantasma di un loro discendente, Antoniotto.
Ma pensando a Torre d’Isola si pensa soprattutto a Cesare Angelini, sacerdote  e poeta che proprio qui volle essere sepolto. La vedeva così, come “ancora la bella parrocchia di una volta, magari con qualche cosa di meglio”.
Oltre alle tante e belle illustrazioni che animano il volume, segnaliamo volentieri la presenza di un questionario “utile per chiederci quanto conosciamo il territorio”, come dice l’autore. Questa semplice, ma preziosa iniziativa, avvalora il libro. Esso non resta solo una convincente e piacevole storia locale, ma anche un caldo, accorato invito a guardare, gustare e conservare tutti i piccoli grandi tesori della nostra terra.

Torre d’Isola di Alberto Arecchi, Liutprand edizioni.

martedì 15 gennaio 2013

Guglielmo Chiolini. Personaggi e avvenimenti della storia pavese.

 

Nelle pagine dell'anima
 
di Bianca Garavelli
 
 

 

 

 

 

 

Scrivere. Il pensiero più ricorrente di ogni autore. Ma, prima di arrivare, questo pensiero, a volte  vera esigenza della mente e del cuore, compie un viaggio bellissimo attraverso pagine altrui. Ecco allora che "leggere" non vuol dire solo pronunciare sillabe, parole e frasi, ma significa capire il perché qualcun altro ha scritto. E non sempre è così facile. Anche quando ci si trovi davanti a una bella storia scritta bene. C'è sempre qualcosa in più, qualcosa che cresce tra le righe e nei giorni che seguono la lettura. Qualcosa che resta perché colpisce. Qualcosa che resta perché è sempre da scoprire. Del resto i bravi scrittori sanno, se vogliono, raccontarsi in controluce, sanno parlare di sé senza dire, ma con quella chiarezza che risplende in chi, attento e sereno, apre la prima pagina di un libro che vuole leggere davvero. Per sapere che cosa dice. Per vedere se sia possibile rispecchiarsi. Per ascoltare un'altra voce che, vicina o lontana, suggerisca uno spunto di arte, di vita, di quotidianità. Per tutti gli uomini, ascoltare chi si incontra è il primo segno di intelligenza. Per gli scrittori, leggere chi scrive è il primo segno di saggezza. E l'autrice di questo volume, di pagine ne ha lette tante. E le ha lette proprio come sarebbe piaciuto ai loro autori: attenta e serena. Ne scaturisce un foltissimo gruppo di interventi critici, fatti di recensioni e di interviste, che sono apparsi sul quotidiano "Avvenire", sul periodico "Stilos" e sul mensile "Letture". Proprio così: i libri e le parole "degli altri". Ed è questo il valore bello e inconsueto che distingue l'autrice di questo libro da quanti, pur facendolo bene, raccontano e basta. Lei, a raccontare, è brava. Lo ha dimostrato con tante altre sue pubblicazioni. Con questa dimostra anche di saper leggere, di saper valutare, di saper apprezzare e gustare il buono di certe cose della letteratura o dell'anima di chi risponde alle sue domande. E se una persona che scrive dimostra di saper anche leggere, allora, di lei, c'è proprio da fidarsi. Perché i suoi pensieri nascono da una conoscenza profonda e partecipe degli argomenti trattati. Perché le sue recensioni e le sue interviste fanno venire voglia di leggere quel libro o di conoscere quella persona. Questo interessantissimo volume ? proprio un'antologia di scritti critici che, forti di un ventennio di esperienza e di lavoro, sono stati scelti anche per raccontare una storia. E questa storia non inizia certamente con "C'era una volta"... il suo "incipt" lascia subito la parola a un'anima bella perché fatta di inchiostro, di cuore e di parole, piccoli suoni che possono divenire bellissimo concerto. Diviso in quattro sezioni, il libro raccoglie pagine classiche e nuove, appena scoperte o riscoperte, insieme con saggi e studi che davvero invitano alla letteratura. Le interviste, chiamate giustamente "dialoghi" dall'autrice, sono poste all'ultimo capitolo e suggellano tutta l'opera, voce umana di anime che, per nostra fortuna, hanno tanto da dire. Questo è un libro profumato e curioso. è un libro da aprire per sentire il profumo della carta. Da respirare. Ma soprattutto è un libro da leggere. Autrice di questo volume è Bianca Garavelli. Vigevanese, scrittrice e interprete di Dante, è critico letterario del quotidiano "Avvenire". Collabora con numerose riviste di letteratura e di ricerca. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo i romanzi "Beatrice" (ed. Moretti&Vitali), "Il passo della dea" (ed. Passigli), "Amore a Cape Town" (ed. Avagliano) presto in questa rubrica. Ha curato numerosi volumi danteschi e di medievistica tra cui il "Commento alla Commedia" (Bompiani) e diversi saggi. E'stata coordinatrice della collana "I Grandi Classici della Poesia" (Fabbri).

I giochi di una volta

di Silvana Galli



 

Giocare. Verbo bellissimo e, non a caso, infinito. Si può giocare con la vita, coi sentimenti, con le idee. Oppure si può giocare e basta. È questo che dà il giusto valore alle azioni di chi, insieme con i suoi amici, respirava il soffio tiepido della fantasia. Senza tanti problemi. Senza tanti perché. E se c’era il sole o se nevicava, non faceva differenza. Qualcosa da fare, da “giocare”, si trovava sempre. E d’improvviso la brezza di Madama Fantasia diventava un vento forte che ti faceva volare. Allora sparivano i confini e tutto serviva al sorriso. Queste pagine sono appunto la meticolosa e precisa raccolta di giochi e di regole che, in un passato nemmeno troppo lontano, rapivano certo i bambini, le loro menti, il loro cuore. Nato da una attenta ricerca, il libro disegna chiaramente non solo una fetta di vita, ma anche e soprattutto un ben preciso periodo storico. I riferimenti sociali e culturali emergono anche da tutto ciò che contornava, quasi incorniciandolo, il gioco in sé. Come le “Conte”, vere e proprie perle linguistiche che, ripetute e ricordate, restano importanti documenti dialettologici. Tanto più in questo caso: le formule riportate infatti si rifanno a fonti dirette. Chi le ha ripetute, le usava, in prima persona, da bambino. Segnaliamo volentieri la convincente trascrizione delle parole dialettali. L’adeguato utilizzo dei segni diacritici permette una lettura del dialetto facile e scorrevole. Spesso musicale, lontana dalla retorica, vicina alla lirica. Il libro Autrice di questo bel volume è Silvana Galli. Attenta studiosa di storia locale e capace scrittrice, ha “trasportato” in pagine, ciò che si è vissuto col sorriso. Un libro da leggere. Da “giocare”.

I giochi di una volta” di Silvana Galli, Casa Editrice Il Mio Libro

lunedì 14 gennaio 2013

L’HOMO ITALICUS: DA DOVE? PAGINE SUL DIVENIRE UMANO
 
 di Franco Tonalini

 
 

 

Questo interessantissimo volume è un avvincente viaggio che inizia dall’uomo e arriva alla mente. Sin dalla prima parte, le pagine presentano una articolata riflessione sulla vita in generale: la sua nascita, la sua evoluzione e –perché no- le sue sorprendenti trasformazioni. Era inevitabile dunque che l’autore prendesse in esame, prima di tutto, la creazione dell’universo. Lungi dall’essere un cattedratico e secco trattato tecnico, il libro considera il “principio del tutto” secondo le due voci più autorevoli che si possano ascoltare: Fede e scienza. Certamente non si protende per l’una o per l’altra, ma entrambe sono presentate con oggettivo e misurato metodo, non per dare risposte, ma per offrire prospettive diverse. Ecco allora una bellissima analisi parallela tra i giorni della Creazione biblica e le varie Ere in cui la scienza divide la storia. Sarà affascinante, per il lettore, notare come emergano punti di contatto, momenti in comune che suggeriscono, con discrezione e con chiarezza, un accattivante quesito: pure coincidenze o calcolata volontà di qualcosa o di Qualcuno?. Naturalmente l’attenzione si focalizza soprattutto sull’Italia indagando il suo passato remoto, a volte ingiustamente considerato oscuro per la profondità del tempo, che si rivela ancora e sempre luminoso di argomenti e di scoperte. Da quando il suolo italiano è stato calpestato per la prima volta dall’uomo, il volume affronta svariate tappe di una storia che possiamo e dobbiamo sentire come “nostra”. Sia perché interessa la nostra terra, sia perché riguarda proprio noi, uomini di oggi e di ieri. Tra i momenti più accattivanti segnaliamo i capitoli che riguardano la germanizzazione dell’Italia e, quasi di rimando, il Rinascimento, senza tralasciare gli importanti segni dell’Impero Romano. Questo però non è solo un libro di storia, ma di vera e propria “conoscenza” in genere. E se il protagonista indiscusso è l’uomo in quanto tale, è pur vero che anche una dottrina come la scienza dell’evoluzione risulta un personaggio notevole. Perciò i lettori troveranno certamente stimolante poter riflettere sui tanti spunti che queste pagine mettono a disposizione. Uno per tutti: il “bonobo”. Chissà quanti sanno a che cosa si riferisca questo strano nome. Forse a qualcosa di più vicino di quanto si creda? Ma qui diamo freno al corso dell’entusiasmo e lasciamo che ogni lettore naufraghi dolcemente nel mare calmo in questo libro. Basato su una ricca e attenta bibliografia, il volume vanta la presentazione di Pierangelo Lombardi, sindaco di Stradella, la premessa di Giancarlo Vitali, presidente della “Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia” e una introduzione generale di Giulio Cipollone, docente della Pontificia Università Gregoriana a Roma. L’opera, dalla prosa scorrevole e piana, regala una lettura profonda e piacevole, esatta e capace di arrivare a tutti. A nostro avviso va però rimarcata la colonna sonora di ogni pagina: il suono sottile ed elegante della curiosità. E certamente si tratta di una curiosità mossa dall’intelligenza, misurata e “irrequieta” quanto basta per raggiungere il primo e forse più importante gradino della conoscenza: la capacità di porre e di porsi le giuste domande.

Autore del libro è Franco Tonalini. Nato a Pavia, si laurea in giurisprudenza presso il nostro Ateneo. Notaio dal 1966 e iscritto all’Albo dei giornalisti pubblicisti, è già stato presente in questa rubrica per un altro importante volume intitolato “Il Notariato nella storia pavese”. Tra le sue precedenti pubblicazioni ricordiamo “La cantina sociale di Montù Beccaria” e “Il Marlin. La grande sfida all’imperatore dei mari”.


L’HOMO ITALICUS: DA DOVE? PAGINE SUL DIVENIRE UMANO di Franco Tonalini, GANGEMI EDITORE.
“Al Sesto Girone. I dolci con il cioccolato”
 
di T. e I. Molina



 


Qualcuno disse: “Nove persone su dieci ammettono di amare il cioccolato. La decima mente”. È proprio vero. Del signor Cioccolato se ne sono dette parecchie. Lui, da par suo, si limita a essere quello che è: buono e irripetibile. Il bello è che se ne rende conto e, in questa serena consapevolezza, si rivolge agli uomini con la sua solita “nonchalance”. A volte con abito scuro, altre con abito “scurissimo”, di tanto in tanto avvolto da un bianco candore, passeggia nel mondo. Lento ed elegante, dispensa sorrisi e gusto a chi lo incontra, lo saluta, lo “ascolta”. Sì, perché il signor Cioccolato ha tante cose da dire. Tutte buone. Lo si capisce bene dalle pagine di questo volume nelle quali sono riportati i modi più caratteristici di averlo “ospite” a casa nostra. E, stiamone certi, spesso non verrà da solo. Anzi, porterà qualche suo amico con cui è sempre andato più che d’accordo. Magari un “Dolce Torino” o una elegante e sempre giovane signorina “Sfoglia”, così bella e sbarazzina se accompagnate dalle sorelline fragole. Oppure varcherà la soglia di casa affascinandoci mentre parla di una certa “Foresta Nera”, forse un po’ invidiosa di quella “Charlotte” che, tra un savoiardo e l’altro, con qualche goccia di profumo al Rhum sul collo, sembra volteggiare come una dea. E poi, si sa, uno come lui, di persone ne incontra davvero tante. E allora sarà bello sentirlo raccontare di certi “Baci di Dama” che fanno eco ad “Alexandra”, sinuosa mousse, bellissima miss. E quanti viaggi! Mai fermo, sempre sulla bocca di tutti più che una star, dirà del “Genovese” o della “Fiorentina”. Eppure, lui che il mondo lo gira sempre, si dimostra attaccato e affezionato anche alle nostre tradizioni, come quella del “Salame”. Ma se dovesse suonare il nostro campanello anche da solo, sarebbe comunque una graditissima visita. Col signor Cioccolato infatti si può parlare di tutto. Pure del futuro. E lui è solito sorridere sornione quando sussurra: “ Ma credete davvero che i Maya, che hanno regalato all’umanità una cosa bella e buona come me possano davvero parlare della fine del mondo?”. Gentile signor Cioccolato, ci spiace contraddirla, ma, secondo noi, quel popolo, una certa “fine” l’ha davvero nominata. Ma non come si crede. Loro dicevano solo: “Il tuo gusto è davvero… la fine del mondo!”

Autori di questo gustosissimo volume sono Toto e Isabella Molina. Di padre in figlia, il “critico” e attento amore per il buongusto trova la sua via d’espressione. Pavesi da sempre e per sempre pavesi, ci regalano pagine non solo “dolci”, ma anche “pepate” di curiosità e di raffinatezza.

“Al Sesto Girone. I dolci con il cioccolato” di T. e I. Molina, Edizioni Cardano Pavia

In punta di matita
 
di Giuseppe Testa

 

 

 

Il libro è una affascinante raccolta di poesie nate senza dubbio dalla consapevolezza che una lirica può e deve essere un intimo colloquio della propria anima non solo con se stessa, ma anche con quanto la circonda, la chiama, la muove. I componimenti di questo volume partono infatti dal profondo sentire dell’autore per arrivare alle “cose della vita”. Ecco allora che i versi nascono dall’attenta e discreta osservazione di una vasta e variegata gamma di temi, i più policromi. Così gli occhi dell’autore guardano quelle piccole, grandi cose che colorano la quotidianità, sua e degli altri, perché permettono al lettore di riconoscersi in un sentimento, in una speranza, in una perplessità. Da un “orrore” a una “sera”, da una “violenza” a una “carezza”, tra le pagine scorre un fiume di pensieri e di sensazioni che, quieto e sereno, si lascia navigare con pacatezza da chiunque voglia gustare uno di questi momenti.

Se le occasioni letterarie che generano le liriche hanno il giusto sapore della diversità, lo stile segue invece una principale e sempre evidente caratteristica: la ricerca della parola. Non si tratta certo di una predilezione per l’artificio eccessivo e ridondante, ma di una misurata e diligente cura nel cercare e nel trovare un termine che sappia essere parte attiva e bella di un raccontare. Emerge infatti una riflessione che non è solo emotiva, ma anche linguistica che fa capolino sul continuo bisogno di versi musicali e morbidi, cadenzati dalle parole-rima. L’effetto che si ottiene è quello di una placida voce, che, con calma, riesce a parlare di tutto. L’efficacia di questo stile si nota anche in quei componimenti che, scritti in dialetto, richiamano e propongono la necessità di pensare e di apprezzare le radici di una storia e quelle della sua parlata.

Dai versi affiora anche la capacità della poesia di riflettere su se stessa, quasi di definirsi per figurare come l’autore la vede. O come “lei” vuole farsi vedere dall’autore. Per questo, nelle liriche dedicate a Eugenio Montale e a Mario Luzi, la poesia si veste di tutta la freschezza di “acqua limpida e chiara,/pura…” oppure “ruscello” in cui è possibile “scorgere il greto/e il vociare chiassoso dei fanciulli”

Autore di questo volume è Giuseppe Testa. Nato a Bubbiano nel 1954, vive a Castrate Primo. Molti suoi testi compaiono in svariate pubblicazioni antologiche di rilievo. Al suo attivo vanta numerosi riconoscimenti culturali. Sue pubblicazioni sono anche “Il segreto della felicità” (1987), “Lascia che il tempo” (1988), “Alla ricerca del ritmo” (1992).


 

La cà ad Balnégar
 
a cura di Paolo Zanocco e Tosco Fontana
 

 

 
 

“L’è tan mé la cà ad Balnegàr”. Questo detto, che dà il titolo al libro, si riferisce ad un ambiente disordinato e, forse proprio per questo, ricco. Lo dimostra anche la copertina del volume che raffigura, rigorosamente in bianco e nero, una stanza povera, piccola, ma sicuramente piena di quanto serva a scrivere queste pagine. Infatti, tra i vari oggetti, si nota, in un angolo, una curiosa cesta di vimini dentro la quale sono quasi conservate, tra la stufa e la polvere, il Ponte Coperto, la Minerva e un paio di torri pavesi. E’ proprio questo il punto di partenza di un bellissimo viaggio che porta, attraverso i colori del dialetto, dentro quei modi di dire, a volte attuali, a volte ormai coperti dal tempo, che caratterizzano i nostri luoghi, la nostra gente.

I protagonisti non sono solamente i motti o le espressioni, ma, come è giusto, anche le persone che di questi vocaboli fanno uso e in essi riconoscono e sorridono le loro origini, la loro identità.

Ecco allora che ogni pagina ospita una frase dialettale, la sua traduzione, la sua spiegazione. Questi elementi fanno da cornice alle fotografie di chi ha fornito quel determinato modo di dire o si sente legato a certe parole. Proprio come se l’informatore stesso si presentasse direttamente al lettore e, guardandolo negli occhi, iniziasse a raccontare.

Naturalmente gli argomenti, come le figure che li raccontano, sono molteplici, i più variegati. Il disordine con cui sono presentati è solo apparente perché richiama in maniera stupefacente l’atmosfera che regnava a casa del signor “Balnégar”. Per questo ogni cosa è al posto giusto e, da qualunque parte il lettore si volti, troverà sicuramente qualcosa di utile, da leggere, da sorridere, da ricordare.

L’originalità di questo libro sta anche nel fatto che i suoi autori sono tanti quanti i modi di dire presenti. Uno per pagina, con calma. Ciò dà vita a una lettura facile, mai pesante, capace di non stancare e di coinvolgere nei diversi mondi individuali di persone che a volte hanno in comune solo il dialetto.

Curatori di questa bellissima raccolta sono Paolo Zanocco e Tosco Fontana. Il primo, medico, ha pubblicato due libri di sonetti dialettali e ha prodotto un CD musicale. Il secondo, Barbiere, è un attento e competente testimone della tradizione pavese.

“La cà ad Balnegàr”, a cura di Paolo Zanocco e Tosco Fontana, Edizioni Mille Muse – Pavia.

Senti le rane che cantano
 
di Castelli, Jona, Lovatto

 

 

“Però, le rane…!”. Così mi disse il direttore del Centro di Dialettologa della Svizzera Italiana quando, venuto a Pavia per un convegno, si trovò a cena, insieme con me, davanti a un piatto di rane fritte. Naturalmente per lui, che non aveva mai assaggiato questi animaletti, lo stupore era indirizzato solo al gusto buono e croccante della pietanza. Forse non sapeva che la storia delle nostre campagne è stata scandita dal loro gracidare lineare e fedele, nelle calde giornate di luglio, nei tiepidi tramonti di fine maggio e nelle interminabili giornate delle mondine. Anche le mondine, come le rane, cantavano nei campi, ma le loro canzoni parlavano di tante cose, di tante fatiche, di tante speranze. Ed è proprio uno di questi canti che dà il titolo al libro. Il volume è infatti una raccolta di "Canzoni e vissuti popolari della risaia”. Non si tratta solo di parole e di musica, ma di un insieme fatto da aneddoti e resoconti della vita trascorsa, sofferta e, nonostante tutto, divertita tra le risaie e il duro lavoro. Durante le giornate passate con la schiena piegata e le mani nell’acqua, le mondine a volte pregavano, ma più spesso cantavano. E non era solo un espediente efficace per far passare prima il tempo o per sentire meno il peso degli sforzi. Anzi, ogni canto assume un suo proprio valore, un suo proprio significato. Così, dalla canzonetta di consumo, all'inno anarchico e socialista, fino alle ninne nanne, poteva benissimo capitare che si svolgessero veri e propri “dialoghi canori” tra le varie squadre di mondine che, quasi sfidandosi a un tenzone letterario come, si davano botta e risposta. Certamente era un modo strano per comunicare. Tuttavia si rivelava valido e generoso di spunti di riflessione. Molte canzoni infatti avevano un tagliente contenuto di protesta, esposto però con la malizia innocente di parole e musica. Un esempio per tutti merita proprio la canzone “Senti le rane che cantano” in cui una giovane mondina racconta con gioia il momento del rientro a casa dopo i mesi della raccolta: anche il ritorno alla difficoltosa vita del contadino è vista come una liberazione, rispetto alle condizioni della “monda”.

Segnaliamo volentieri che i testi e le canzoni di questo libro sono il frutto di una attenta e precisa ricerca sul campo.

Autori di queste pagine sono Franco Castelli, Emilio Jona, Alberto Lovatto.

Franco Castelli lavora presso l'Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria  e dirige il Centro di cultura popolare "Giuseppe Ferraro". Dal 1967 conduce una vastissima ricerca sulle tradizioni popolari nella zona, con particolare attenzione ai canti, al patrimonio dialettale e alla ritualità. Membro del comitato scientifico del Centro Regionale Etnografico Linguistico di Torino, è redattore di "Quaderno di storia contemporanea".

Emilio Jona ha svolto ricerche nel campo della canzone sociale e politica e sulla cultura orale in genere, pubblicando saggi, realizzando dischi e testi radiofonici. Negli anni 1957-61 è stato uno degli iniziatori del gruppo "Cantacronache", la prima esperienza in Italia di canzoni d'autore. Con Sergio Liberovici ha condotto ricerche sull'espressività popolare urbana e contadina finalizzate alla realizzazione di un teatro radicato nel territorio.

Alberto Lovatto ha studiato con Roberto Leydi al Dams di Bologna. È preside di una scuola media. Interessato alla storia orale e alla storia sociale, si è occupato di storia della seconda guerra mondiale e di deportazione, di memoria del movimento operaio, di organologia etnica, di storia e memoria delle bande musicali locali, di musica e canzoni della Resistenza.

“SENTI LE RANE CHE CANTANO” di Castelli, Jona, Lovatto, Donzelli Editore. Comprensivo anche di CD musicale.

Abbasso Brera, Viva Brera

Una vita contro
 
di Giulio Signori
 
 

 
 

A lungo abbiamo pensato a quale fosse il modo più adatto di recensire questo libro. Poi ci siamo ricordati che, a Gianni Brera, bisogna parlare dandogli “del tu” e guardandolo dritto in faccia. Ora, se questo non è possibile fisicamente, lo è certo attraverso l’affetto, la stima e soprattutto con quella strana cosa che si chiama “carta stampata”, a lui cara, a lui amica, a lui pezzo grande di vita. Siamo giunti così alla conclusione che, forse, gli piacerebbe una recensione diversa dalle altre. Magari una lettera che potrebbe essere questa…

Caro Gioann,

come certamente ti sarà già venuto all’orecchio, qualcuno ha scritto ancora su dite. Questo volume però ha qualcosa in più degli altri. Infatti, sai bene che, se a metterci le mani è Giulio Signori, qualcosa di eccellente deve saltare fuori. Leggendo queste pagine non si ha la retorica “impressione di incontrarti”. Ti si incontra e basta. Del resto quando un amico e bravo collega come Signori parla di te, lo fa senza dubbio nel modo giusto. Ecco allora che il libro regala il ritratto non solo della tua attività, ma anche della tua anima. La si vede chiaramente mentre, pipa in bocca, dice “pane al pane e barbaresco al barbaresco”, senza paura, con tanta semplicità e altrettanta efficacia. Tu eri, sei, così: pronto a cercare la verità e a raccontarla. Poco importa se, a volte, è scomoda. La chiarezza è un dovere, forse il maggiore, di chi scrive sui giornali. In queste pagine si apre davvero una finestra su come e chi eri, su come e chi sei. Tu stesso lo dici, in una tua poesia riportata in questo volume quando affermi: “Le cose più semplici esprimono / il genio d’una gente / avvezza a inventare la vita.” E tu vieni proprio da quel mondo. Come quando racconti con che naturalezza (e quindi con che grazia) il mitico nonno Pinelu “sorride come il vino” che ha in quel suo ultimo bicchiere o quando racconti, come tu solo sai fare, di Fausto che, spingendo sangue e vita sui pedali, arrivava prima di tutti, prima del tempo stesso. Questo sei tu: un uomo che ha saputo organizzarsi (“giostrarsi”, a te verrebbe da dire) per saper raccontare davvero un fatto, un campione, un ricordo, un’idea. Tra le tante belle fotografie presenti nel libro, una ti ritrae in “mutande da calciatore”. E pare che non ti mancasse il talento, ma, per amore del giornalismo, hai preferito giocare le tue partite in un’altra maniera, con il foglio di carta in difesa e la tua Olivetti sempre all’attacco. Ma non possiamo fare a meno di chiederci come saresti stato, in mezzo al campo, magari mentre tentavi di convincere un arbitro poco attento che, in fondo, il fallo non c’era. Comunque di goal ne hai fatti parecchi. Per lo meno in numero uguale a quello dei tuoi scritti. E qui si vede ancora e sempre la differenza che corre tra te e gli altri giornalisti. Tu hai saputo scrivere bene. Il che non significa usare parole difficili o capaci di stordire il lettore, ma vere e abbellite dalla tua sottile, intelligente e garbata ironia. Questa cosa, per nulla scontata, si vede chiaramente in questo volume, visto che riporta anche certi tuoi scritti. La tua prosa è sempre stata fluente e caratterizzata da una plasticità che sarebbe potuta essere un esempio anche per il Gadda di “Quel pasticciaccio…”. Te lo ricordi, Gadda, vero? Ti aveva colpito tanto e una volta, come si legge in questo libro, ne hai parlato al tuo amico Signori per due ore, durante un viaggio in treno. Che invidia. Non immagini quanto ci sarebbe piaciuto essere seduti in quel vagone per sapere, direttamente da te, cosa pensi di Gadda. Verrebbe proprio, a questo punto, la fortissima tentazione di parlare con te di quel dialetto che regalava, con le sue parole povere e nobili, una pennellata di Po, un profumo di terra, una voce che sentiamo sempre nostra. Ma passiamo oltre e vediamo che il sottotitolo dell’opera è “una vita contro”. Certo non sto a spiegarti il perché. Lo sai benissimo. E anche i lettori lo scopriranno non appena inizieranno a leggere. A dare lustro al volume non c’è solo la perizia di Signori, ma anche Paola Mo. L’amicizia con suo padre Carlo è divenuta poi affetto vero verso di lei e verso sua sorella Roberta. Certamente ti ricordi quando l’hai tenuta a battesimo. Certamente ti ricordi anche quando, ormai grande, ti “bacchettava” se mangiavi certe cose nemiche del colesterolo. E tu la accontentavi. Se non per dieta, probabilmente per un sorriso. Questo libro piace davvero tanto. Hai visto che riporta pure interventi di Mario Nicolao, Giovanni Moranti, lo stesso Carlo Mo, Luigi Veronelli…. Tutti uomini di grosso calibro, giornalisti, direttori, artisti e, soprattutto, tuoi amici. Anche Vittorio Poma, presidente della Provincia di Pavia, insieme con Renata Crotti, assessore al Turismo, ha partecipato a queste pagine con una prefazione che ti si addice proprio.

Con affetto

Andrea Borghi e tutti i lettori

Fantasma d’amore
 
di Mino Milani

 

 

 

 

Solo Pavia poteva essere il più adatto palcoscenico si questo romanzo. E tutto il libro è proprio la voce della nostra città che, attraverso se stessa, narra una bellissima storia di amore e di mistero. O forse del mistero dell’amore. E’ sicuramente capitato a tutti i pavesi di sorprendersi improvvisamente davanti a qualcuno che sbuca da una nebbia così fitta che sembra fissarti, quasi porta che si apre su altre dimensioni, su altri mondi, su altri tempi. Ed è la stessa nebbia che, quando lo ritiene, entra in scena per partecipare, coi suoi silenzi e coi suoi sguardi, alla narrazione. Avvolge, o meglio abbraccia, anche le anime dei protagonisti, Nino e Anna. Il loro incontro, come la nebbia, annulla il tempo, rende più vicine le cose lontane e spinge a correre, senza alcuna fatica, verso il sentimento. Nino forse non sapeva quanto fosse facile farlo. Poi gli è bastato prendere un autobus in normale mattina, in un normale giorno di lavoro per vedere l’inizio di una storia straordinaria e inspiegabile grazie a un incrocio di occhi. “Sono Anna” aveva detto al telefono. E Nino la riconosce subito, dopo tanti anni, e tanti eventi precipitati nelle loro diverse vite. La riconosce subito perché non l’aveva mai dimenticata. Il suo grande e bellissimo amore giovanile aveva sempre albergato in lui, quasi in segreto, senza rumori. Ora invece aveva deciso si spalancare la finestra e di farsi sentire con tutta la sua voce, come una volta. Nino, affermato commercialista della Pavia-bene e prigioniero delle sue torri eburnee, colme sempre delle stesse, ripetute, pesanti comodità, incontra Anna. Forse per gustare, ancora una volta, una giovane e serena fetta di vita, forse perché spinto da un amore non ancora tramontato, il cui pensiero riesce a colorare i giorni e la nebbia. Anche il Ticino li ascolta mentre parlano sul “barcé”. Li culla. E chiama la nebbia perché, calda coperta dei sogni più belli, li avvolga per lasciarli lontano dal mondo. Poi tutto cade. Anna risulta morta da tre anni. Eppure l’aveva vista, le aveva parlato, l’aveva baciata. Ed era stato bello. Era stato vero. E poi lui l’aveva vista morire, caduta dalla barca. Non poteva essere già morta. Eppure… Nella ricerca di una verità che cammina a braccetto con l’irreale, Nino si imbatte in strani, affascinanti personaggi che diventano tasselli preziosi e discreti di un variegato raccontare. Anche un omicidio trova posto, personaggio inatteso e ben incastonato, nella narrazione. Attorno all’intreccio, accattivante e coinvolgente, ruotano particolarissime situazioni descritte con pennellate ora leggere, ora crude a formare non pagine scritte, ma quadri. Alcuni da osservare da lontano, altri da vicino. E così anche i paesaggi regalano una voce che varia con estrema plasticità, con i suoi “piano” e i suoi “forte”, quasi strumento solista che, solo quando occorre, è accompagnato da tutta un’orchestra. Tutta la storia è scritta con una prosa piana, calma nel narrare un fatto, un sentimento, un’anima. È una prosa limpida ed elegante, raffinata, non ricercata, capace di prendere per mano il lettore e di portarlo là, davanti a Nino e Anna. Per vederli, per ascoltarli. Per accarezzare il delicato fantasma di un amore grande. Autore di questo bellissimo volume è Mino Milani. Riteniamo decisamente superfluo fornire sue notizie perché da tutti è tanto conosciuto quanto apprezzato. Ci permettiamo solo di sottolineare la sua ecletticità: romanziere, saggista, autore di fumetti e di racconti per ragazzi, ha sempre coniugato la sua abilità di scrittore con la sua anima legata a Pavia. Ecco perché l’inchiostro che cola dalla sua penna è davvero capace di scrivere tante e tante cose. E tutte impreziosite con la sottile sfumatura di quel bellissimo e inconfondibile accento pavese.

“Fantasmad’amore” di Mino Milani, Guardamagna Editori in Varzi

Le vie del sale e altri percorsi
di Fabrizio Capecchi
 
 

 

 

“Le vie del sale” è un interessante libro fotografico che conduce il lettore lungo nove itinerari tra la pianura e il mare.

Da subito queste pagine rapiscono con le loro immagini, le più svariate. Da un paesaggio autunnale, attraverso i vivi colori di case che sorridono al mare lasciandosi alle spalle le colline liguri, si raggiungono piccole e grandi vedute, ora dispiegate in profondi e intensi panorami, ora concentrate in preziosi, semplici particolari.

Una montagna contro il cielo, uno scorcio di mare, un albero o un portone possono essere vere e  proprie fonti per l’arte. Il bello e il difficile è saper cogliere quella luce, quell’istante, quell’attimo di eternità che passa davanti agli occhi e all’anima. La sensibilità di saper afferrare queste emozioni si traduce ella capacità di far parlare ogni fonte artistica, per il piacere di vederla, di ascoltarla, di gustarla. Fabrizio Capecchi, pavese d.o.c. e autore di questo libro, non si limita solo a questo, ma dimostra anche di essere davvero capace di interrogare ciò che fotografa, per far raccontare una particolare storia, per descrivere un determinato personaggio o anche solo per far ascoltare l’elegante, magnifico, eloquente silenzio di una Croce ghiacciata e solitaria in cima a una montagna.

I testi, che si incastonano perfettamente con le immagini creando un vivace mosaico, sono frutto di una ricca bibliografia .

Segnaliamo volentieri la bella presentazione di Cristina De Stefano. Con parole semplici e appropriate ben ritrae l’opera, la personalità e l’arte dell’autore.

E,’ questo, un libro da leggere in qualunque modo, dalla prima all’ultima pagina o aprendolo a caso. Sarà bello fermarsi davanti alle fotografie che, solo all’apparenza mute, sapranno raccontare storie bellissime.

“Le vie del sale e altri percorsi” di Fabrizio Capecchi, Edizioni Croma, Pavia. Nelle migliori librerie e presso la TIPOGRAFIA BODONIANA, in Pavia.

Le nozze di Taide
 
di A.M. Portaluppi
 
 



Taide è la protagonista di una vita corsa e rincorsa, cercata, fermata e, a volte, inciampata. Nel bene e nel male. Attorno a lei piovono gli eventi quotidiani, densi di emozioni, di imprevisti, ma soprattutto di sentimenti. Tutta la storia di Taide è imperniata sul valore e sull'identità dei sentimenti, spesso volutamente ovattati da un ambiente eburneo, quasi argentato. L'alta società, per lei che viene dalla campagna pavese, potrebbe essere il punto d'arrivo di un'esistenza. Potrebbe. O forse dovrebbe. Perché anche il "dovere" ha un suo proprio sentimento che si insinua nei giorni lunghi e muti di una vita capace di prendere alla gola. Sono le tinte di un sincero, ma incapace desiderio di essere felice. Sembra che nulla manchi, che ogni cosa sia al proprio posto e che tutto proceda come si era programmato. Tutto secondo un preciso copione. Improvvisamente entra -o rientra- in scena chi ha portato i primi sogni ieri e nuove lettere oggi. E' qui che il palcoscenico della narrazione ospita attrazioni e ricordi, mentre fuori imperversa la tempesta della guerra e della storia che entrano anche in casa di Taide e, per qualche tempo, abitano in una soffitta soffusa di luce e rigata da una lingua straniera. Il passare del tempo cambia tutto e niente. Taide vede venire alla luce i suoi figli e suo marito si sente dire: "Di quale moglie deve essere orgoglioso!". Arrivano anche i nipoti e la vita cammina con tutti i suoi eventi, belli e tristi. Morto il marito Alfonso, Taide si ritrova in un' Italia recente, vicina agli anni Novanta, e, contemporaneamente, antica perché legata ancora e sempre al mondo di un passato che forse non è mai esistito, ma riesce, miracolosamente, a concretizzarsi adesso. Almeno dentro di lei. Eccola allora parlare con un certo avvocato e raccontagli del castello di suo marito, di una grandissima tenuta e di tanti altri averi mai posseduti. Quasi un'ostentazione esplosa da un'ingenuità puerile, questo suo mostrarsi le dona l'ironico soprannome di "Miliardaria". E, puntualmente, la vecchia casa si logorava sempre più, i debiti incombevano e la luce era sempre più fioca. La "Signora delle macerie" attese il buio che, arrivando, copriva l'ormai silenzioso sfacelo. Ora finalmente quieto, come una spiaggia all'imbrunire.

Autrice di questo interessantissimo romanzo e Angiola Maria Portaluppi. Nata a Stradella, si è laureata in filosofia presso la nostra università e ha insegnato in diversi licei. Studiosa anche di psicanalisi, è una esperta di antropologia culturale. I suoi scritti sono risultati più volte vincitori in diversi premi letterari, tra cui il "Premio Gozzano", il "Premio Cremaschi" e il "Premio Lasarat". Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: "Mia cugina Enrica", l'operetta "Psiche" e la commedia " La tapparella della muerte".

LE NOZZE DI TAIDE, di Angiola Maria Portaluppi, Eumeswil Edizioni.

 

venerdì 11 gennaio 2013


Un prete del ‘900
 
di don Ernesto Maggi

 

 

Questo libro è molto più che una semplice biografia. Le sue pagine infatti ci fanno incontrare una di quelle persone che lasciano un segno positivo e sempre vivo nel cuore di pavesi. Protagonista del volume è Don Domenico Zucca, conosciuto da tutti come il “Dondo”. Nato a Magherno nel 1900, imparò subito la fatica e la ricchezza delle sue origini contadine. Ancora in fasce, la mamma lo portava con sé mentre zappava la meliga o voltava il fieno. E lui la guardava svolgere quei lavori cui si sarebbe appassionato, se non fosse arrivata quella “Chiamata” a diventare sacerdote. In fondo il “Dondo” è sempre stato un po’ entrambe queste cose: contadino e prete. Contadino perché attento alla concretezza vera dei bisogni e delle gioie della quotidianità; prete perché attivo ed efficace uomo di Dio. A molte persone piace pensare che chi sia portato per gli studi lasci a desiderare nelle azioni pratiche della vita, anche le più umili e che, viceversa, chi apprenda facilmente lavori manuali non debba essere incline allo studio. Nulla di più ingenuo e di più falso. E Don Domenico ne è uno deli esempi migliori e più duraturi. Diplomatosi presso il liceo “Taramelli”, compie gli studi seminariali e ne esce portando nel cuore il profumo della terra e la fede in Dio. Queste due caratteristiche, che lo accompagneranno per sempre, lo rendono un uomo presente non solo tra i suoi parrocchiani ma anche tra quanti l’hanno incontrato. Se la mente progetta e le mani costruiscono, lui ha progettato e costruito tanto, a partire dagli anni in San Michele, per arrivare fino a quelli trascorsi in Borgo Ticino. Qui infatti non era raro vederlo, in un quartiere devastato dai bombardamenti, tra le macerie delle case e della gente, per una preghiera, per una parola, per un aiuto concreto. Il Borgo, affidatogli nel 1944, è stata una delle prove che forse meglio hanno messo in luce le sue capacità di sacerdote e di uomo. Quando prese possesso di questa parrocchia, anche la casa parrocchiale era caduta sotto le bombe. Anche lui era bombardato tra i bombardati. Ma non bastarono questa –e altre- difficoltà a fermare la sua voglia di fare. Il lavoro non lo spaventava. Proprio lui, che veniva da una famiglia contadina, sapeva che spesso non bisogna solo abbassare la testa e faticare. Bisogna prima riflettere, ponderare, saper vedere il necessario e l’impellente. Così, il “Dondo” ha sempre agito, illuminato anche da una carità uguale per tutti. I “Rossi” o i “Neri” non facevano differenza. Erano suoi parrocchiani e questo bastava.

Il “Dondo” è quindi un esempio luminoso e sorridente che tanti hanno seguito. Non ultimo anche il fratello, Don Elia, della stessa tempra, dello stesso cuore, della stessa modernità.

Autore di questo volume è don Ernesto Maggi. Cresciuto in Borgo, mentre era parroco Don Domenico, è, dal 1989, rettore dell’Almo Collegio Borromeo.

UN PRETE DEL ‘900 di don Ernesto Maggi, edizioni TCP