"E forse ci sono più stelle e segreti e insondabili vie tra noi, nel silenzio, che in tutto il cielo disteso al di là della nebbia." A.Pozzi
sabato 16 novembre 2013
lunedì 21 ottobre 2013
venerdì 4 ottobre 2013
Città di Garlasco
Biblioteca civica “Mino Milani”
VENERDI’ 18 OTTOBRE 2013
alle ore 21.15 presso SALA
POLIVALENTE - via SS. Trinità, 6
Un uomo chiamato Gioànn …
aneddoti breriani
Capitava che a volte si sentisse un profumo di
tabacco. Non era di sigaretta. Poi si vedeva una pipa. O un sigaro. E dietro
c'era lui. Gianni Brera si sedeva sulla
sedia di legno, davanti ai suoi amici. Quelli di sempre, anche se nuovi.
Finalmente Gioànn. Ma lui non era
arrivato. Lui era già pronto per partire. E tutti lo seguivano. O meglio lo
incitavano a continuare. Tutti insieme. E a un certo punto si parlava poco.
Quasi non parlava nessuno. Perché più che parlare, c'era da fare. E allora
avanti, "Mai pagural" diceva lui, mentre i suoi occhi vispi lottavano
col fumo e con la nebbia di quella campagna che, amante passionale e
purificatrice, amava tanto …
con ANDREA BORGHI, critico
letterario
FABRIZIO
LANA, poeta dei sentimenti
GIGI
ROGNONI, Pres. Circ. Cult. Barcèla
LINO
VENERONI, l'Autore
sabato 14 settembre 2013
Intitolazione
di una sala a Gianni Brera
L’anima
letteraria (e non solo) di Gianni Brera profuma ancora e sempre, con le sue
parole scritte e dette, la pianura e la collina. E a fare cornice di questa eco
tutta breriana ci ha pensato quel magnifico posto che è il Palazzo Bellavista
di Montebruciato, ad appena una virgola da Stradella. Struttura originaria del
Settecento, è stata da poco ristrutturata mantenendo ed esaltando i canoni
architettonici del tempo. Così, tra una sala dedicata ad Agostino De Pretis e
un’altra a Mariano Dallapè, non poteva mancare l’intitolazione del salone
maggiore al principe di “Pianariva”. Così, Brera amava romanzare il nome del
suo paese. La sala “Gianni Brera” infatti lo rispecchia pienamente: luminosa,
schietta, ospitale. I bravissimi “colpevoli” di questa bella serata sono
facilmente individuabili. Si tratta del “Circolo culturale LA BARCELA”, del “Sodalizio
della Zuppa alla Pavese e dell’alborella”, dell’”Associazione Il Parco Vecchio”
e dell’ A.N.I.O.C. (Associazione Nazionale Insigniti Onorificenze Cavalleresche,
presieduta da Maurilio Ravazzani). Sotto la guida di Gigi Rognoni, colonna
delle due prime associazioni, l’evento è stato programmato, organizzato, ma
ancora prima, sognato. E come tutti i sogni belli che vedono la loro fine nella
concretezza, il tutto si è realizzato nel migliore dei modi. “ La serata non
solo è stata positiva e coinvolgente” dice Rognoni “ma ha segnato ancora una
volta il traguardo raggiunto dalle nostre associazioni che si adoperano, con
passione e con impegno, a valorizzare ciò che il nostro Territorio ci regala.
Dalla tavola alla cultura.” Giuste, le parole del Presidente. Anche perché
l’evento è stato un felice connubio di tradizioni e di letteratura, come spesso
accade nelle terre pavesi. Tra gli ospiti, personalità illustri come il
vicesindaco di Pavia Matteo Mognaschi, i coniugi Jacovozzi (Da Hildesheim,
città tedesca gemellata con Pavia) delegati dal Consolato per i Gemellaggi
Internazionali, il sindaco di Stradella Pierangelo Lombardi, quello di Canneto
Francesca Panizzari, il sindaco di Alagna Riccardo Ferrari e il Capo della
Polizia di Stradella. Non potevano mancare la presenza e il prezioso intervento
di Franco Brera, figlio del grande giornalista. “Anche Gioann, sarebbe stato
contento stasera” ha asserito Franco Brera, salutando gli invitati. La serata
ha avuto inizio con il taglio del nastro che ha inaugurato il salone. Claudio
Macchia, ideatore e artefice di questa struttura dice che “La serata è stata emozionante.
Il Bella Vista si impreziosisce con
personaggi come Brera. Ringrazio le associazioni che portano a vanti il ricordo
di chi fa vivo l’essere della nostra terra.
Abbiamo celebrato una sorta di “altro battesimo” di questo bel locale”
Continua Macchia: “Ringrazio mio suocero
Gianmario Cassini e mia moglie Michela che mi hanno incoraggiato in questa
avventura, insieme con la professionalità della CORTE PAVESE banqueting che ha
in gestione il Palazzo Bellavista. La cucina di Gigi e Cristina Perinetti è
sempre il nostro fiore all’occhiello.” Conclude Macchia: “Sarebbe bello
trovarci ogni anno, affinché questo luogo sia un punto di partenza dalle
colline a Brera, al mondo intero.” E
questo è ciò che stanno facendo le associazioni organizzatrici della serata. A
Tale proposito Gigi Rognoni ribadisce: “ Il nostro territorio e la sua storia
non sono un limite, ma un vero e proprio serbatoio di avventure volte verso
l’esterno e pronte per essere vissute da noi e da tutti gli altri.” Paladino
della Pavesità, Rognoni ha le idee ben chiare: “Bisogna partire da noi, per
essere pronti ad andare lontano.” Durante la serata è stato anche presentato il
volume “Un uomo chiamato Gioànn, aneddoti breriani”. Autore di questo bel libro
è Lino Veneroni. Scrittore affermato in Italia e all’estero, ci regala, con la
sua prosa piacevole e sottile, un Gianni Brera diverso e tutto umano, come era
a tavola, tra gli amici, a caccia o a casa di chi gli ha voluto bene. Ecco
allora che il grande giornalista lascia il passo all’uomo, quell’uomo che, come
tutte le persone fortunate e felici, ha avuto la possibilità di inciampare
nelle cose semplici e in tutto il loro valore. A suggellare la presentazione,
la bella poesia scritta e recitata da Fabrizio Lana. I suoi versi compaiono in
calce al volume e ben ritraggono, specchio segreto e un po’ sfacciato, il volto
e l’anima di Gioànn. Così, tra cultura, tradizione e sorrisi, il passato, il
presente e il futuro guardano assieme le stelle dell’Oltrepò. E non hanno paura
a dire che, in fondo, la vita è bella.
.
mercoledì 4 settembre 2013
Assentarsi per una manciata di minuti
Assentarsi.
Andare, anche per un poco, altrove. Ma non in un “altrove” qualunque. Deve
essere buono e bello. Bello da vedere, buono da gustare con gli occhi e con
l’anima. Spesso i viaggi più belli si fanno stando fermi. Magari davanti alle
parole che raccontano una storia fatta di eventi fantastici, ma quotidiani,
ricchi di tutto, ma degni di gente semplice, all’apparenza lontani eppure così
vicini alla vita da inciampare in essi. Questa bella raccolta di racconti
permette proprio questo, di assentarsi per essere presenti. Lascia che il
lettore si fermi e ascolti, anche per pochi istanti, preziose briciole di vita,
una storia. E che condivida un brindisi speciale fatto con un “bicchiere di
ricordi”. Perché, a volte, anche se le cose cambiano, gli uomini hanno sempre
due grandi tasche in cui mettere e tenere tutto ciò che hanno incontrato. E
l’ultima goccia è bevuta alla speranza del Futuro. Anche il Tempo gioca un
ruolo fondamentale in queste pagine. Quasi un personaggio silenzioso ed
eloquente, fa parlare quella Storia che passa anche per le case dei semplici e
che si bagna i piedi nei nostri torrenti. Essi non sono un confine, ma lo
scorrere di una narrazione capace di passeggiare nel futuro, su altri pianeti.
Oppure, a sorpresa, la Storia si posa sulle labbra di una regina che è anche e
soprattutto donna. Perché certe vite sono belle da raccontare, specialmente in
determinati, piccoli, pregiati momenti tra preghiere, musica e numeri. In
questo libro le sorprese narrative non sono offerte dalla tensione, ma dall’angolo
da cui certe cose sono viste. Ed ecco che anche il “gelido” ha un calore tutto
suo. È solo diverso. Non vuol dire che sia sbagliato. E per certi aspetti è
proprio così. È come quando si vede un’altra alba “dalla cabina di un camion”.
La prosa è pulita, scorrevole, invitante. Come i pensieri che giocano coi
ricordi.
Autore di questo interessantissimo volume è Claudio Montini. Nato a Pavia, ha conseguito la maturità scientifica. Oltre a questa raccolta, ha pubblicato “Briciole di sogni nello sguardo” e “Ultima missione: sopravvivere!” presto in questa rubrica.
lunedì 1 luglio 2013
Presentata la spada di Francesco I
La spada è sempre stata l’arma per
antonomasia. Brandita da soldati e da re, è ricca di simboli, di tradizioni e
di potere. A cominciare dal potere di vita o di morte. Se poi a sguainarla è
Francesco I, re dei Francesi, magari durante la Battaglia di Pavia del 1525,
allora la lama si colora di particolarissimi significati che gettano le basi
delle nostre tradizioni. Ciò non poteva certo sfuggire al “Sodalizio della
Zuppa alla Pavese e dell’Alborella”, associazione nata proprio sull’eco storica
e culturale di questo avvenimento. I Cavalieri del “Sodalizio” infatti, durante
la loro ultima riunione, hanno presentato la “Spada di Francesco”. Si tratta di
un modello, battuto da sapienti artigiani
appositamente per l’occasione, che replica
la spada che i cavalieri usavano in battaglia tra la fine del XV e il primo quarto del XVI secolo. Inutile dire che questo oggetto racchiude e
racconta non solo una fetta importantissima di storia, ma anche e soprattutto
un momento di vita particolarmente intenso e avvincente. È proprio con una
spada simile a questa che Francesco I, nella fase iniziale della battaglia di
Pavia, abbatte con un gran fendente Ferrante Castriota, marchese di Civita
Sant' Angelo, comandante della cavalleria leggera imperiale, aprendogli una
profonda ferita che, partendo dalla scapola, termina addirittura allo stomaco.
Questa scena, caratterizzata da un’epica violenza, è raffigurata su uno degli
Arazzi fiamminghi della Battaglia di Pavia conservati nel Museo di Capodimonte
a Napoli. E sembra proprio di vederlo, il “Re de li Francesi”, che avanza
impetuoso e volece, seminando sangue nell’esercito nemico. Lui, già di per sé
alto circa un metro e ottanta, di corportatura robusta, lanciato in sella al
suo destriero, ha senza dubbio infuso un profondo e agghiacciante timore in chi
tentava inutilmente di fermarlo. Tra le grida e i mille rumori della battaglia
però, improvvisamente si ode anche un colpo di archibugio che colpisce e uccide
il suo cavallo. L’animale muore e crolla a terra schiacciando e imprigionando
la gamba sinistra del re. Subito i fanti nemici gli si avventano addosso con
l’intenzione di ucciderlo, ma egli continua a brandire la spada e riesce, pur
in quelle condizioni, a difendersi. Poi alcuni ufficiali spagnoli lo
riconoscono, fermano i soldati e lo fanno prigioniero. Ormai catturato,
Francesco si arrende ufficialmente consegnando la spada al comandante
dell'esercito ispano-imperiale, Charles de Lannoy, Vicerè di Napoli. Nel
riceverla, il capo dei nemici si inchina, segno di rispetto davanti al
coraggio, alla forza, alla Storia.
Il modello
conservato dai “Cavalieri della Zuppa Alla Pavese” è appunto depositario di
questi valori
e per questo è
usato nella parte più importante del cerimoniale di intronizzazione dei nuovi
cavalieri. Solo quando il Gran Maestro Gigi Rognoni ha toccato tre volte con la
spada l’aspirante membro, quest’ ultimo diviene a tutti gli effetti “Cavaliere
del Sodalizio”. La sagoma e le misure della spada sono state portate alle mani
degli artigiani dal professor Luigi Casali, affermato storico che, in base a
ricerche approfondite, ha potuto fornire le esatte fattezze di ogni singola
parte dell’ arma. Ci piace pensare che, Appena dopo la Battaglia di Pavia,
quando Francesco I si trova nella cascina Repentita, davanti a una tazza di
Zuppa alla Pavese preparata da una semplice contadina, la sua spada fosse là
con lui. Magari appoggiata alla base di un muro scrostato e povero, con la
punta sul pavimento. Quasi un silenzioso e dignitoso addio al suo unico
padrone, al suo unico re.
Da Il Punto, 1 luglio 2013
giovedì 20 giugno 2013
mercoledì 22 maggio 2013
sabato 27 aprile 2013
Comune di Lomello
VENERDI' 3 MAGGIO 2013
alle ore 21
Un uomo chiamato Gioànn ... aneddoti breriani
Incontro con l'autore
Lino Veneroni
Maurizio Ravazzani, presidente A.N.I.O.C. Pavia
presenta i relatori:
Giuseppe Piovera Sindaco di Lomello
Massimo Granata assessore alla Cultura
Gianfranco Magenta Scrittore storico lomellino
Andrea Borghi Giornalista e critico letterario
Paolo Calvi Giornalista
Fabrizio Lana Poeta dei sentimenti
Gigi Rognoni Presidente Circolo Culturale La Barcèla
Lino Veneroni L'autore
giovedì 25 aprile 2013
sabato 30 marzo 2013
Genti
di Lomellina, dell’Oltrepò e del Pavese
“Genti”, come dice bene
il titolo, è un libro dedicato alle persone della nostra provincia. I
protagonisti di queste pagine sono uomini e donne che riflettono realtà,
storia, fede, tradizioni e lavori che hanno caratterizzato la nostra terra e, a
volte in modo diverso, continuano ad appartenerci e a raccontarci.
Il volume è una
finestra aperta davanti alla quale sfilano le vicende dei contadini e delle
mondine, dei viticoltori oltrepadani e degli operai di quella “grande fabbrica”
che fu la Necchi.. Queste pagine offrono una stupenda panoramica in cui non si
dimentica nessuno, nemmeno quanti sono chiamati “i marginali”. Anche loro, che
fanno della piazza la loro casa, sono stati parte attiva della nostra storia. Ecco
allora battitori, imbonitori e cantastorie, che facevano un mercato di parole,
raccontarsi accanto a ghiaiaroli e navatori, “capitani coraggiosi” dei loro
barcé sul Ticino o sul Po.Quest’opera è una raccolta di scritti di diversi autori, ognuno dei quali ha affrontato un diverso argomento. Tra quanti hanno collaborato, segnaliamo particolarmente Alberto Arecchi, architetto che vanta numerose pubblicazioni su Pavia, e Glauco Sanga, ricercatore e assistente del professor Angelo Stella, docente di Storia della Lingua Italiana presso il nostro Ateneo.
Nella struttura del libro, meritano certamente una menzione speciale le numerose testimonianze autobiografiche di genti che, nate all’inizio del secolo scorso, hanno raccontato in modo diretto ed eloquente, il loro mondo e i cambiamenti che l’hanno attraversato, trasformato, plasmato. A narrare in prima persona sono contadini della bassa, preti di Lomellina, calzolai vigevanesi, ma anche operai impegnati in scioperi o soldati combattenti nella Resistenza. Ogni esposizione autobiografica diviene una sorta di certificazione del passato, perché descritto da chi l’ha visto con i propri occhi e l’ha vissuto con il proprio cuore.
Circa quattrocento immagini, tra fotografie e disegni, arricchiscono le pagine di questo bel libro di cui la gente è certo protagonista, ma anche dedicataria.
Genti
di Lomellina, dell’Oltrepò e del Pavese,
Formicona editrice.
I
pruverbi ad Pavia
di
F. Ogliari e F. Fava
Pavia, città di storia
e di nebbia, di filosofia e di re, di arte e di scienza, ha tanti modi per
raccontarsi alla gente. In questo libro lo fa con un linguaggio del tutto
particolare, fatto di frasi brevi e di parole semplici. Pavia, signora antica e
sempre moderna, sa, dall’alto dei suoi anni, che le cose importanti si possono
dire meglio con termini poveri, ma veri ed efficaci. Ecco allora che, in queste
pagine, Pavia ci parla attraverso i proverbi, piccole, preziose perle di
saggezza.
Con brevi, veloci e
gustosi detti si delinea il ritratto colmo di sfumature di una città, della sua
gente, del suo esistere. Tanto più che ogni proverbio è in dialetto, abito da
sera di quelle verità tanto semplici da essere eterne.Capaci di parlare di tutto a tutti, i proverbi corrono, colpiscono, sorridono, insinuano e, qualche volta, frustano. Dicendo di un mestiere o di una qualità umana, di un frutto o di una stagione, del diavolo o delle nuvole, i proverbi si presentano e si mettono a nostra disposizione. A noi il piacere di ascoltarli, di usarli, di gustarli.
Di questo libro segnaliamo anche le belle fotografie che arricchiscono le pagine. Sono immagini in bianco e nero, un po’ perché narrano una Pavia del passato, un po’ perché a riempirle di colori ci pensano i proverbi che le incorniciano.
Autori di questa
raccolta sono Francesco Ogliari, importante figura della cultura lombarda e
nazionale, e Franco Fava. Quest’ultimo, nato a Vigevano, è scrittore e
giornalista, autore e regista teatrale. Da sempre appassionato studioso di
storia, si è interessato alla cultura e al folklore della nostra terra.
Tre
gocce di veleno
a
cura di Maria Antonietta Arrigoni e Marco Savini
Tre gocce di veleno è
senza dubbio un libro particolare e affascinante. Si tratta infatti di
un’antologia di fiabe tipiche della Lomellina raccolte da Marco Savini e da sua
moglie, Antonietta Arrigoni. Protagonista indiscusso di queste pagine è il
dialetto. Anzi, i dialetti che vivono di una propria identità, con le loro
differenze e le loro sfumature riconoscibili anche in un territorio ben
delimitato come quello lomellino.
Frutto di un’accurata e
decennale ricerca sul campo, il volume propone una serie di racconti
tradizionali narrati da quindici informatori e colorati dalle tinte tipiche del
loro dialetto. I due autori sono collaboratori dell’Archivio delle voci, che,
guidato dal professor Angelo Stella, si propone di raccogliere e di conservare
testimonianze orali anche come questa. Proprio per la loro esperienza, Arrigoni
e Savini si sono dimostrati ancora una volta più che all’altezza delle loro
ricerche, regalandoci non solo un’interessante e precisa fotografia di una
condizione dialettale, ma anche e soprattutto un piacevolissimo libro che dà
alla fantasia popolare il giusto merito nella tradizione, nel folklore, nella
cultura.A parlare sono quindici narratori d’eccezione che raccontano quelle fiabe magiche che hanno ascoltato, da bambini, dai loro nonni. “ Magiche” è davvero l’aggettivo giusto. Un po’ perché portano il lettore nell’antico, misterioso mondo delle favole dove può accadere di tutto e il contrario di tutto, dove non fa paura affrontare certe paure umane. Un po’ perché raccontate nella più bella di tutte le lingue: il proprio dialetto.
Maghi, draghi, animali e uomini si accompagnano nella narrazione, ognuno rispettoso del suo posto, della sua parte, della identità, tanto fatata, da essere umana. Ogni fiaba è riportata fedelmente in dialetto e tradotta, in modo puntualmente letterale, nella pagina a fianco. Segnaliamo volentieri l’efficacia dei criteri di trascrizione dialettale: semplici e chiari, permettono a tutti una facile e gustosissima lettura.
Libro da non perdere, è da leggere e da rileggere. Magari in classe o davanti al fuoco, da soli o in compagnia. Meglio anche se la compagnia è quella di quanti queste fiabe le hanno ascoltate, vissute, attraversate e, solo allora, raccontate.
Una
cometa in cantina
di
Sonia Borgese
Come ben esprime il
titolo, questo libro fonde cielo e terra, buio e luce, sogni e realtà.
Carla, narratrice in
prima persona di queste pagine, racconta una fetta della sua vita trascorsa in
un’atmosfera particolare, tutta sua, ma condivisa da tante altre persone,
spesso mistica eppure quotidiana. Del resto, il contrasto ( e non la
contraddizione) è un ingrediente essenziale di questo volume. E’ il contrasto
che ogni giorno la vita ci offre, spingendoci o frenandoci, per lascarci
camminare verso il nostro Destino.Carla parla al lettore con naturalezza, come se ogni frase avesse l’aspetto di un pensiero o di un’idea che prendono forma colando dalla sua penna, permettendo a tutti i personaggi di diventare protagonisti discreti e, a volte, addirittura silenziosi di queste pagine.
Il libro non ha una coesione continua, ma i capitoli si susseguono diversi, inattesi, sembra quasi fuori luogo. Ma, nell’economia dell’opera, questo stile rapsodico e improvviso si rivela affascinante caratteristica distintiva di una scrittrice di cui certamente sentiremo molto parlare.
I ricordi della guerra, un misterioso rifugiato, le lucciole, una figlia, gli amici e una libreria si mischiano nell’intreccio di queste pagine colorandole con tinte ora fiamminghe ora impressionistiche e lasciando al lettore tutto lo spazio necessario a osservare le sfumature.
Filo conduttore di tutto lo scritto è l’esistenza umana in tutti i suoi modi di proporsi: la curiosità, l’intraprendenza, l’abitudine, il coraggio e la paura ci dicono che a volte una cometa e una cantina possono essere nello stesso posto. Cometa e cantina, due cose così diverse, ma due pieghe uguali di “quel pigiama arrotolato che si chiama Vita”.
Una
cometa in cantina, di Sonia Borghese, edizioni Eumeswil,
Broni.
Giuan
al mat
A
Pavia ci sono due fiumi. Uno, il Ticino, l'altro, quello formato dai pavesi e
dalle loro vite. E se il primo scorre silenzioso e testimone, il secondo invade
le strade e le allaga di voci, di volti, di storie. E’ uno scorrere impetuoso e
imponente, ma benevolo e invitante, le cui acque sono formate da tante gocce
colorate e diverse. Alcune di esse inevitabilmente si notano prima di altre.
Forse perché più brillanti, forse solo perché rispecchiano la voce della
semplicità che ci regala questo bel volumetto, vera e propria
passeggiata in una Pavia di cento anni fa quando nelle sue strade si
incontravano quotidianamente personaggi come ´Giuan al mat. Lui, che matto non
lo era mai stato, fu una delle figure più caratteristiche di quel tempo. Figlio
di un garibaldino, dal genitore aveva preso certamente il coraggio e lo spirito
d'iniziativa. Osservando la gente che lavorava, capiva quale potesse essere il
bisogno: cibo pronto, caldo e a buon prezzo per una pausa pranzo gustosa e
rasserenante. Eccolo allora vendere in ´Piasa Granda' polenta e merluzzo o polenta
e ´sarach. Il successo? Immediato. Sia per la capacità di cucinare, sia per
quella di piacere alle persone, non solo i lavoratori, ma anche le massaie
ricorrono a lui per risolvere, con gusto e comodità, il problema del pranzo.
Lui conosce tutti e tutti conoscono lui. Così, quando decide di cambiare
attività, la sua già affezionata clientela lo segue in tutte le sue avventure:
venditore di frutta e di verdura in piazza o, mascherato da donna, di coriandoli,
trombette e stelle filanti durante il periodo del Carnevale. Sempre con al
seguito i suoi clienti, vecchi e nuovi, ormai affezionati a questa
imprevedibile e piacevole persona. Attorno a ´Giuan ruota tutta una serie di
altre figure caratteristiche, tipicamente pavesi, riconoscibili dai loro
soprannomi. Come il ´Ricam', così detto per i segni lasciati sul viso dal
vaiolo, o il ´Tamordi ( ti mordo) che aveva fatto di un suo intercalare una
vera e propria identità. Pe non parlare poi dell'affascinate e malinconica
figura del ´Prufesur dla carta': laureato in lingue, discendente di una
famiglia benestante e colta, non riesce ad affermarsi e si vede costretto, per
tirare avanti, a raccogliere carta per rivenderla ai bottegai. E che dire
dell'ormai leggendario ´Papetti, " 'l ciapa can" che, accalappiacani del comune,
una volta, stupito dallo strano modo di abbaiare di un cane appena catturato,
si accorge, con calma, che si tratta di una pecora. Questi sono solo alcuni dei
gustosi e a tratti geniali personaggi che vengono dipinti e raccontati in queste
pagine. Autore del volume è Agostino Faravelli. Appassionato di Pavia e dei suoi
dialetti, vanta numerose collaborazioni con le principali riviste goliardiche
presso il teatro Fraschini. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie e di
prose, in italiano e in dialetto.
Giuanal mat
di A. Faravelli, Libreria De Bernardi, Pavia
Uomini veri dalla pelle
rossa
E' davvero possibile fermare il tempo
e magari rivoltarlo, andando a toccare con mano la storia di un uomo, di un
popolo, di un'era? Forse sì. Ce lo dicono queste bellissime pagine intrise di
avventura, di sentimento, di storia. Sembra veramente un caso voluto dal Fato,
da Dio o dal “Grande Spirito” degli Sioux che, in un caldo giorno del 1964, un
medico italiano debba fermarsi a fare benzina in una stazione di rifornimento
americana. Attorno a essa non c'è granché. Solo boschi, colline e la strada. Al
suo interno invece lo aspetta il cancello dorato di un incontro capace di
cambiare la vita, la mente, l'anima. A gestire il piccolo bar della stazione c'è
Vera, enigmatica e affascinante donna. Decisa, pronta, un po' bruciata dalla
vita, guarda passare i suoi giorni facendo gli stessi, abituali gesti e
salutando le poche persone, per lo più sconosciute, che, di passaggio, entrano,
bevono e vanno via. Anche Jacob Lavis, legato a Vera da un affetto fraterno,
pare proprio far parte di quel piccolo tutto in quel piccolo mondo. E così, da
una conoscenza improvvisa e inaspettata, il medico viene a spere che c'è
qualcuno capace di raccontare una storia vera: il vecchio Mato Ska, uno degli
ultimi Sioux. L'anziano però non solo vive tra i boschi ed è malato, ma anche è
fortemente restio a incontrare gente nuova. Certo, un buon medico non poteva
sottrarsi a ciò che fosse giusto fare. Con Jacob lo raggiunge, lo cura e diviene
suo amico. e proprio in virtù di eamicizia che Mato Ska apre il suo cuore
e la sua memoria, libro profumato di ricordi e forte come le onde di un mare
che ruggisce, a chi ritiene degno di ascoltarlo. Così prende forma la narrazione entusiasmante di
una vita diversa, passata tra altre persone, tra altre guerre, tra altri mondi.
è il racconto della sua gente, quella dalla pelle rossa, fatta di uomini quasi
uguali a quei “visi pallidi” che, quasi precipitati da chissà dove nelle loro
terre, avevano preso, sparato, conquistato. Il volume non vuole essere una
limitata e scontata apologia. Anzi, ci regala tutti gli eventi di storie di
vita, d'amore, di lealtà. Attraverso le parole di Mato Ska riprendono vita quei
personaggi antichi, epici eroi di una cultura forse lontana, ma esemplare e
accattivante. Eccolo ricordare e spiegare le usanze, le battaglie, le speranze
e i desideri di persone appartenenti a una realtà particolarissima, fatta di
accampamenti e di saggezza. L'elemento del passato si incastona perfettamente
con il presente. La storia di Mato Ska si intreccia con quella del medico, con
quella di Vera e, paradossalmente, con la sua. Come un fuoco che ipnotizza, il
vecchio indiano parla e, senza saperlo, si trova testimone anche di ciò che
accade agli altri personaggi. Ecco allora che le prole antiche fanno da colonna
sonora a un amore, a un inaspettato ritrovamento e a tantissime altre cose.
Dalla trama certamente ben strutturata, il romanzo si dipana con una prosa
scorrevole, mite e piacevole, ben capace di presentare il vorticoso
susseguirsi di avvenimenti, mai prevedibili, mai scontati. Autore di questo
romanzo è Giuseppe Franco Agoni. Già presente in questa rubrica con i romanzi
“Il nido dello scorpione” e “Il ragazzo dagli occhi di cielo” è una persona
decisamente eclettica. Ha visitato numerosi Paesi dall’Oriente all’Occidente.
Attualmente vive a Rivanazzano e al suo attivo vanta numerosi romanzi.
Il ragazzo dagli occhi di cielo
1875.
Garibaldi lascia Caprera per recarsi a Roma per pronunciare alla Camera un suo
storico discorso, in un clima colmo di speranze e di dubbi all'indomani
dell'Unità. Mentre queste cose accadono in Italia, dall'altra parte del mondo,
in Canada, si apre una tenda di un accampamento indiano. Fa capolino un ragazzo
di quattordici anni che respira l'aria frizzante del mattino e si sofferma, per
qualche istante, a guardare il cielo, azzurro come i suoi occhi. Si tratta di
Blusky, un ragazzo “caduto dalle nuvole”. E sembrava proprio fosse così, quando
fu trovato, solo e magro, in mezzo a quelle nuvole di fumo che solo una
battaglia sa lasciare attorno. Raccolto da un capo indiano, viene allevato da
lui e dalla sua compagna. Un figlio desiderato, un figlio arrivato dal vago di
una nebbia quasi divina. Forse Manitù ascoltava davvero le preghiere di quanti
si rivolgevano a lui. Il bimbo non ha nulla. Vicino a lui solo una borsa che
contiene fogli di carta con strane linee. Gli indiani non avrebbero potuto
sapere che quelle macchie di inchiostro erano “scrittura”. Blusky entra a far
parte in tutto e per tutto della sua nuova vita. Cresce e si fa riconoscere per
il suo coraggio, per la sua lealtà, per il suo grande cuore. Anche Moony,
ragazza poco più giovane di lui, apprezza le sue qualità. Tra loro scatta anche
un magico legame. Ma, come è risaputo, I bambini sono la bocca della verità.
Una amico, quasi a vendicarsi, svela a Blusky che I suoi veri genitori non sono
nell'accampamento. Da qui inizia l'avventura del giovanissimo protagonista che
vuole fortemente scoprire, vedere, sapere e soprattutto incontrare. In u
frangente emerge, forse più che in tutto il racconto, la grande e vera civiltà
degli Indiani d'America. I suoi genitori adottivi infatti accettano che parta
per arrivare alle sue origini. Dalle lettere ritrovate, grazie all'aiuto di
alcuni mercanti, affiorano alcuni indizi. Il suo grande animo non può e non
vuole tralasciarne nemmeno uno. E il viaggio comincia. Ad accompagnarlo è Alce
Nero, forte e fidato compagno. Insieme si mettono “in marcia verso il passato”,
un passato misterioso, ma pieno di speranze che forse portano a un futuro di
risposte. Da questo momento la narrazione diviene fitta di accadimenti e di
personaggi che si susseguono in modo incalzante e inaspettato. Come
inaspettati sono i mille ostacoli di un lungo viaggio. Le pagine scorrono
velocemente sotto gli occhi del lettore, presentando tante tipologie umane.
Banditi, soldati, cameriere e donne di saloon i cui proprietari non sempre sono
santi, ma anche amici nuovi e persone generose. Insieme con tutti loro, Blusky
attraversa la sua storia lungo le sterminate distese e i freddi monti del
Canada. E, in certe pagine colorate da caratteristiche di inquadrature
cinematografiche, sembra proprio di vederli accampati davanti al fuoco o in una
strada polverosa e secca o avvolti dal vapore che esce dai loro mantelli
durante una gelida salita, in una tormenta di neve. Tutto il volume è
contraddistinto da un sicuro e piacevole coinvolgimento che non solo presenta i
fatti in modo sorprendente, ma li esprime attraverso una prosa lineare, ricca di
dialoghi. Sono davvero i personaggi a raccontare la storia.
Queste
pagine non sono solo il racconto di un'avventura, ma anche quello di una
ricerca. Italiani o indiani, africani o canadesi, tutti gli uomini, nella vita,
cercano qualcosa. Non sempre è facile trovare ciò che si cerca. A volte è
addirittura impossibile. Ma, a quanti si stanno per arrendere, sarebbe bello far
incontrare Blusky. Autore di questo romanzo è Giuseppe Franco Agoni. Già
presente in questa rubrica con “Il nido dello scorpione”, è una persona
decisamente eclettica. Ha visitato numerosi Paesi dall’Oriente all’Occidente.
Attualmente vive a Rivanazzano e al suo attivo vanta numerosi romanzi.
“Il
ragazzo dagli occhi di cielo” di G. F. Agoni, Guardamagna Editori in Varzi
Batud ca fa rid
Come abbiamo già avuto modo di ribadire più
volte in questa rubrica, i dialetti possono essere usati anche a scopo lirico.
Il vernacolo infatti, se adoperato nel modo giusto, riesce a far parlare i
sentimenti più profondi. Tuttavia sarebbe un limite riconoscergli solo questa
capacità. Non si dimentichi che se un dialetto sa far commuovere, sa anche dar
sorridere. È proprio quello che ci offre questa raccolta di componimenti in
puro dialetto pavese, quello della città. Ogni poesia ritrae un personaggio,
una battuta, un istante in cui si riconosce non solo il pavese, ma pure
l'umorismo pavese, tutto particolare, completo, semplice e aggraziato,
efficace, tagliente e bonario. Ne emergono vere e proprie “macchiette”
imprevedibili ed esilaranti, come quel tale che, vinto un paio di sci d'acqua
coi punti del supermercato, se ne andò a lungo in cerca di un “laghetto in
discesa”. Per non parlare di certi vigili cui sfugge il numero di targa, ma
ricordano bene le misure della signora al volante. Così, credendo che i
“daltonici” siano gli “stranieri”, applicano leggi e multe “come per gli
italiani”. Ma in queste pagine si parla anche di “intelligenza”, quella contesa
tra moglie e marito. Tra tante discussioni per stabilire chi, nella coppia, sia
più intelligente, la conclusione emerge da un ragionamento semplice e tagliente
di lui: “Cara, tra me e te, sei più intelligente tu: gli uomini intelligenti
non sono sposati…”. Questi sono solo pochissimi assaggi delle divertenti figure
che si incontreranno leggendo questo volume. La comicità e il sorriso che le
caratterizzano sono lineari, privi di volgarità, costruiti sulle parole di un
dialetto quotidiano, parlato in famiglia o con gli amici. Sotto il comune denominatore dell’umorismo,
scorrono diverse tematiche che vanno da “Adamo ed Eva” al “Pustegiatur
d’ucasiòn”, dal “Peletè” al “Barbè invidius” attraverso le belle e colorate vie
del dialetto. Autore di questo volume è Virginio Inzaghi.
Poeta dialettale e storico di Pavia è
stato per molti anni presidente del Circolo Culturale Recisole. Ha tradotto i
vangeli in dialetto pavese ed è stato docente presso l’UNITRE di Pavia fino al
2006. Ha compilato un’enciclopedia in sei volumi sulla storia di Pavia e un
dizionario del dialetto pavese. La sua personalità e il suo carattere emergono
però dalle innumerevoli poesie dialettali.
martedì 19 febbraio 2013
Chaucer
nella Pavia dei Visconti
di
Sisto Capra
Come era Pavia nel
medioevo? Per una volta a rispondere a questa affascinante domanda non sono né
manuali né professori, ma un narratore d’eccezione: Geoffrey Chaucer. Il grande
poeta inglese racconta il suo viaggio in Lombardia. In particolare tra le
strade e le persone della nostra città. Come una sorta di “Dante pavese”, anche
Chaucer è guidato da un Virgilio: il professor Alimondo Beccaria. Questi
presenta e spiega, introduce e fa incontrare il volto passato e presente della città. Così, mentre mostra il
“centro perfetto di Pavia” all’illustre visitatore, spiega anche a noi che
oggi, proprio in quel punto, c’è la più famosa pellicceria d’Italia. Si crea
quindi un bellissimo gioco d’identità e di spazi lungo un piacevolissimo ponte
temporale.
Il lettore scopre,
insieme con Chaucer, Pavia, le sue vie, i vicoli, le chiese oggi scomparse, il
“Palazzo” e quella “Piazza grande”, giardino del commercio fiorito di
bancarelle che oggi si trovano sotto la pavimentazione.Anche se utilizza informazioni scientifiche e affidabili, questo libro non vuole essere un saggio storico. Forse nemmeno un romanzo, sebbene il taglio narrativo induca piacevolmente e a pensarlo. L’ultima parte risulta infatti particolarmente avvincente e, in certo modo, avventurosa. Pensiamo che queste pagine vadano viste come il racconto che un grande poeta ha fatto di Pavia, un luogo visitato, gustato e messo tra quelle preziose cose che meritano di restare tra i quattro angoli del cuore.
Segnaliamo volentieri una bellissima postfazione di monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia. Dalle sue frasi si evincono affetto e attenzione per la nostra storia.
Autore del volume è Sisto Capra, giornalista e condirettore de “Il giornale di Socrate al caffè”.
La prosa di Capra è scorrevole, chiara, davvero capace di raccontare. Anche a Chaucer sarebbe piaciuta.
PazzaPavia
e altri racconti
di R. A. Fiocchi
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In questo libro dove Pavia fa rima con fantasia,
Romano Augusto Fiocchi propone una serie di racconti nati dalla sua inventiva e
ambientati nella nostra città. La Pavia che ci viene proposta è incantata,
silenziosa e, a tratti, misteriosa. Avvolti dalla nebbia o inquadrati in giorni
in cui “scarnebbia”, i personaggi della
narrazione sono protagonisti di fatti surreali, di incontri spesso
inspiegabili, apparentemente lontani dalla realtà. Non per nulla la prima storia,
che dà il titolo al volume, parla di “PazzaPavia”, una strana e vaga figura di
donna che appare, una sera d’inverno, e nel freddo scompare. Forse per sempre.
Gli episodi onirici si alternano con altri tanto
quotidiani da sembrare ancora più magici, se visti non secondo i rigidi schemi
della ragione, ma con occhi più semplici, come quelli della piccola Lisa. Una
bambina e una rondine fanno già una storia. Di queste pagine colpiscono
soprattutto le prospettive attraverso le quali si narrano gli eventi. La città
diviene quindi una muta cornice delle cose. Muta, ma certamente non priva dei
suoi colori pavesi, ora con sfumature più delicate, ora con tinte appassionate.
Tra le sue strade, davanti alle sue chiese o sul Ponte Coperto cammina la
Fantasia, personaggio d’eccezione che conosce vicoli, storie e segreti. Quando,
forse per caso o forse per sua volontà, si imbatte in qualche passante, lo
ferma, gli parla, gli racconta. Lo fa partecipe di quei “fantasmi buoni” che,
come la nebbia, non sanno stare senza Pavia.Segnaliamo volentieri le illustrazioni di Lucillio Fiocchi e di Maggi Pisy. Poste prima di ogni capitolo, ben ritraggono il volto di questa Pavia che ogni tanto, come dice Mino Milani, è “fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.
PazzaPavia
e altri racconti
di R.A. Fiocchi, EMI editrice, Pavia
Storia
della provincia di Pavia
La Storia della
provincia di Pavia è un libro di grande valore. L’autore, Rolando Di Bari, ci
regala una bellissima lezione di storia. Dall’età preistorica alla Liberazione,
le nostre terre pavesi ci raccontano eventi e fatti con la voce delle loro
testimonianze, dei loro documenti, della loro gente.
Ogni periodo preso in
esame è diviso in tre parti: Lomellina, Oltrepò e Pavese, non solo aree
geografiche, ma veri e propri personaggi
che attestano avvenimenti ed episodi. Ecco allora che lo studio del passato
diviene tangibile e riscontrabile, anche nelle piccole o grandi tracce che la
storia ha lasciato sotto ai nostri occhi, vicino alle nostre case, sulla strada
di tutti i giorni.Questo libro ci permette di conoscere sempre più e meglio la nostra provincia, soprattutto attraverso una precisa, attenta, accurata ricostruzione storica. Infatti il volume non è solo un viaggio dall’antichità ai tempi recenti, ma vuole e riesce a essere una guida, un “manuale” che raccoglie, spiega, e rende vivi i segni e gli eventi di quella storia che sussurra le nostre origini. E saperle vedere significa rendersi conto da dove veniamo, che cosa abbiamo fatto, ma soprattutto chi siamo.
A suggellare quest’opera è una splendida appendice sulla “Storia dell’Amministrazione provinciale”. A firmarla è il professor Marziano Brignoli che, ancora una volta, è l’uomo giusto al posto giusto. Storico tra i più autorevoli ed eclettico scrittore, ha ripercorso la vita dell’Amministrazione pavese dai suoi albori ai giorni nostri. Nelle sue pagine si incontrano le fatiche, le speranze e i risultati dei primi amministratori provinciali. Ci si rende conto dei cambiamenti e dei bisogni della nostra provincia. Soprattutto però si impara a quali grandi nomi – troppo spesso non ricordati a dovere o addirittura dimenticati – sia stata legata la presidenza della nostra Amministrazione. Ci riferiamo a don Giuseppe Robecchi, sacerdote e patriota, primo Presidente del Consiglio provinciale. Ricordiamo Benedetto Cairoli che, protagonista di un’Italia libera e unita, divenne anche Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche Agostino De Pretis, Presidente del Consiglio per ben otto legislature, ha dato lustro alla nostra amministrazione provinciale con la sua presidenza.
Castelli
e abbazie della Valle del Ticino
di
F. Zucca e F. Ogliari
Questo libro è una passeggiata tra mura antiche e
realtà presenti, lontane e vicine, capaci sempre di parlare, di raccontare, di
stupire. Il nostro Ticino scorre e accarezza altri mondi, altre vite, prima di
arrivare a Pavia. E, con la sua corrente suggestiva, ce li riporta tutti sotto
il Ponte Coperto, per farceli conoscere, per presentarceli. Come lui solo sa
fare. Da Locarno, in Svizzera, a Belgioioso la strada non è poi così lunga e risulta
intensa, ricca, spesso avventurosa. I castelli e i luoghi di culto hanno la
loro storia, i loro fantasmi, i loro santi, i loro miracoli. Leggendo queste
pagine si incontrano i segreti, si attraversano le vicende, i colori e le
sfumature di una storia che, passando, ha lasciato segni indelebili dipinti
sugli affreschi di una chiesa o conservati dietro le sicure mura fortificate di
un castello. Ogni monumento è introdotto con notizie storiche, puntuali e
precise cui seguono un’accurata descrizione architettonica e le informazioni
necessarie per un’eventuale visita. Il volume non è e non vuole essere un
semplice catalogo di mere costruzioni, ma una guida davvero capace di
consigliare un itinerario che, tra passato e presente, ci riporta dentro quella
storia che ci riguarda. Proprio perché narrata da due voci d’eccezione: il
Ticino e la sua Valle. Leggendo questo libro non solo “si darà la mano alla
Storia”, ma verrà anche voglia di partire. Magari in una domenica d’autunno,
quando le foglie cadono e la natura si rimbocca le coperte, per arrivare là
dove il tepore dell’antico accarezza l’anima con le sue verità e con le sue
fantasie.
Autori di questo volume sono Francesco Ogliari, già
apparso in diverse occasioni in questa rubrica, e Fabio Zucca. Questi, docente
di Storia delle autonomie locali presso il nostro Ateneo, vanta numerose,
apprezzate pubblicazioni e una spiccata sensibilità storica in grado di
coinvolgere e trascinare.
Castelli
e abbazie della Valle del Ticino
di Fabio Zucca e Francesco Ogliari, edizioni Selecta, Pavia.
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