venerdì 4 ottobre 2013


                

Città di Garlasco

Biblioteca civica “Mino Milani”

                


 

VENERDI’ 18 OTTOBRE 2013

 

alle ore 21.15 presso SALA POLIVALENTE - via SS. Trinità, 6


 

 


Un uomo chiamato Gioànn …

aneddoti breriani

 
Capitava che a volte si sentisse un profumo di tabacco. Non era di sigaretta. Poi si vedeva una pipa. O un sigaro. E dietro c'era lui. Gianni Brera si sedeva sulla sedia di legno, davanti ai suoi amici. Quelli di sempre, anche se nuovi. Finalmente Gioànn. Ma lui non era arrivato. Lui era già pronto per partire. E tutti lo seguivano. O meglio lo incitavano a continuare. Tutti insieme. E a un certo punto si parlava poco. Quasi non parlava nessuno. Perché più che parlare, c'era da fare. E allora avanti, "Mai pagural" diceva lui, mentre i suoi occhi vispi lottavano col fumo e con la nebbia di quella campagna che, amante passionale e purificatrice, amava tanto …

con ANDREA BORGHI, critico letterario

FABRIZIO LANA,  poeta dei sentimenti

GIGI ROGNONI, Pres. Circ. Cult. Barcèla

 

LINO VENERONI, l'Autore

sabato 14 settembre 2013


Intitolazione di una sala a Gianni Brera

 
Il tramonto dalla incantevole terrazza del palazzo "Bellavista" di Stradella, dove si è svolta la serata.

 

 

L’anima letteraria (e non solo) di Gianni Brera profuma ancora e sempre, con le sue parole scritte e dette, la pianura e la collina. E a fare cornice di questa eco tutta breriana ci ha pensato quel magnifico posto che è il Palazzo Bellavista di Montebruciato, ad appena una virgola da Stradella. Struttura originaria del Settecento, è stata da poco ristrutturata mantenendo ed esaltando i canoni architettonici del tempo. Così, tra una sala dedicata ad Agostino De Pretis e un’altra a Mariano Dallapè, non poteva mancare l’intitolazione del salone maggiore al principe di “Pianariva”. Così, Brera amava romanzare il nome del suo paese. La sala “Gianni Brera” infatti lo rispecchia pienamente: luminosa, schietta, ospitale. I bravissimi “colpevoli” di questa bella serata sono facilmente individuabili. Si tratta del “Circolo culturale LA BARCELA”, del “Sodalizio della Zuppa alla Pavese e dell’alborella”, dell’”Associazione Il Parco Vecchio” e dell’ A.N.I.O.C. (Associazione Nazionale Insigniti Onorificenze Cavalleresche, presieduta da Maurilio Ravazzani). Sotto la guida di Gigi Rognoni, colonna delle due prime associazioni, l’evento è stato programmato, organizzato, ma ancora prima, sognato. E come tutti i sogni belli che vedono la loro fine nella concretezza, il tutto si è realizzato nel migliore dei modi. “ La serata non solo è stata positiva e coinvolgente” dice Rognoni “ma ha segnato ancora una volta il traguardo raggiunto dalle nostre associazioni che si adoperano, con passione e con impegno, a valorizzare ciò che il nostro Territorio ci regala. Dalla tavola alla cultura.” Giuste, le parole del Presidente. Anche perché l’evento è stato un felice connubio di tradizioni e di letteratura, come spesso accade nelle terre pavesi. Tra gli ospiti, personalità illustri come il vicesindaco di Pavia Matteo Mognaschi, i coniugi Jacovozzi (Da Hildesheim, città tedesca gemellata con Pavia) delegati dal Consolato per i Gemellaggi Internazionali, il sindaco di Stradella Pierangelo Lombardi, quello di Canneto Francesca Panizzari, il sindaco di Alagna Riccardo Ferrari e il Capo della Polizia di Stradella. Non potevano mancare la presenza e il prezioso intervento di Franco Brera, figlio del grande giornalista. “Anche Gioann, sarebbe stato contento stasera” ha asserito Franco Brera, salutando gli invitati. La serata ha avuto inizio con il taglio del nastro che ha inaugurato il salone. Claudio Macchia, ideatore e artefice di questa struttura dice che “La serata è stata emozionante. Il  Bella Vista si impreziosisce con personaggi come Brera. Ringrazio le associazioni che portano a vanti il ricordo di chi fa vivo l’essere della nostra terra.  Abbiamo celebrato una sorta di “altro battesimo” di questo bel locale” Continua Macchia: “Ringrazio  mio suocero Gianmario Cassini e mia moglie Michela che mi hanno incoraggiato in questa avventura, insieme con la professionalità della CORTE PAVESE banqueting che ha in gestione il Palazzo Bellavista. La cucina di Gigi e Cristina Perinetti è sempre il nostro fiore all’occhiello.” Conclude Macchia: “Sarebbe bello trovarci ogni anno, affinché questo luogo sia un punto di partenza dalle colline a Brera, al mondo intero.”  E questo è ciò che stanno facendo le associazioni organizzatrici della serata. A Tale proposito Gigi Rognoni ribadisce: “ Il nostro territorio e la sua storia non sono un limite, ma un vero e proprio serbatoio di avventure volte verso l’esterno e pronte per essere vissute da noi e da tutti gli altri.” Paladino della Pavesità, Rognoni ha le idee ben chiare: “Bisogna partire da noi, per essere pronti ad andare lontano.” Durante la serata è stato anche presentato il volume “Un uomo chiamato Gioànn, aneddoti breriani”. Autore di questo bel libro è Lino Veneroni. Scrittore affermato in Italia e all’estero, ci regala, con la sua prosa piacevole e sottile, un Gianni Brera diverso e tutto umano, come era a tavola, tra gli amici, a caccia o a casa di chi gli ha voluto bene. Ecco allora che il grande giornalista lascia il passo all’uomo, quell’uomo che, come tutte le persone fortunate e felici, ha avuto la possibilità di inciampare nelle cose semplici e in tutto il loro valore. A suggellare la presentazione, la bella poesia scritta e recitata da Fabrizio Lana. I suoi versi compaiono in calce al volume e ben ritraggono, specchio segreto e un po’ sfacciato, il volto e l’anima di Gioànn. Così, tra cultura, tradizione e sorrisi, il passato, il presente e il futuro guardano assieme le stelle dell’Oltrepò. E non hanno paura a dire che, in fondo, la vita è bella.

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mercoledì 4 settembre 2013


Assentarsi per una manciata di minuti
 
Claudio Montini





 
Assentarsi. Andare, anche per un poco, altrove. Ma non in un “altrove” qualunque. Deve essere buono e bello. Bello da vedere, buono da gustare con gli occhi e con l’anima. Spesso i viaggi più belli si fanno stando fermi. Magari davanti alle parole che raccontano una storia fatta di eventi fantastici, ma quotidiani, ricchi di tutto, ma degni di gente semplice, all’apparenza lontani eppure così vicini alla vita da inciampare in essi. Questa bella raccolta di racconti permette proprio questo, di assentarsi per essere presenti. Lascia che il lettore si fermi e ascolti, anche per pochi istanti, preziose briciole di vita, una storia. E che condivida un brindisi speciale fatto con un “bicchiere di ricordi”. Perché, a volte, anche se le cose cambiano, gli uomini hanno sempre due grandi tasche in cui mettere e tenere tutto ciò che hanno incontrato. E l’ultima goccia è bevuta alla speranza del Futuro. Anche il Tempo gioca un ruolo fondamentale in queste pagine. Quasi un personaggio silenzioso ed eloquente, fa parlare quella Storia che passa anche per le case dei semplici e che si bagna i piedi nei nostri torrenti. Essi non sono un confine, ma lo scorrere di una narrazione capace di passeggiare nel futuro, su altri pianeti. Oppure, a sorpresa, la Storia si posa sulle labbra di una regina che è anche e soprattutto donna. Perché certe vite sono belle da raccontare, specialmente in determinati, piccoli, pregiati momenti tra preghiere, musica e numeri. In questo libro le sorprese narrative non sono offerte dalla tensione, ma dall’angolo da cui certe cose sono viste. Ed ecco che anche il “gelido” ha un calore tutto suo. È solo diverso. Non vuol dire che sia sbagliato. E per certi aspetti è proprio così. È come quando si vede un’altra alba “dalla cabina di un camion”. La prosa è pulita, scorrevole, invitante. Come i pensieri che giocano coi ricordi.


Autore di questo interessantissimo volume è Claudio Montini. Nato a Pavia, ha conseguito la maturità scientifica. Oltre a questa raccolta, ha pubblicato “Briciole di sogni nello sguardo” e “Ultima missione: sopravvivere!” presto in questa rubrica.

lunedì 1 luglio 2013

Presentata la spada di Francesco I


 
 

 
 

La spada è sempre stata l’arma per antonomasia. Brandita da soldati e da re, è ricca di simboli, di tradizioni e di potere. A cominciare dal potere di vita o di morte. Se poi a sguainarla è Francesco I, re dei Francesi, magari durante la Battaglia di Pavia del 1525, allora la lama si colora di particolarissimi significati che gettano le basi delle nostre tradizioni. Ciò non poteva certo sfuggire al “Sodalizio della Zuppa alla Pavese e dell’Alborella”, associazione nata proprio sull’eco storica e culturale di questo avvenimento. I Cavalieri del “Sodalizio” infatti, durante la loro ultima riunione, hanno presentato la “Spada di Francesco”. Si tratta di un modello, battuto da sapienti artigiani appositamente per l’occasione, che replica  la spada che i cavalieri usavano in battaglia tra la fine del XV  e il primo quarto del XVI secolo.  Inutile dire che questo oggetto racchiude e racconta non solo una fetta importantissima di storia, ma anche e soprattutto un momento di vita particolarmente intenso e avvincente. È proprio con una spada simile a questa che Francesco I, nella fase iniziale della battaglia di Pavia, abbatte con un gran fendente Ferrante Castriota, marchese di Civita Sant' Angelo, comandante della cavalleria leggera imperiale, aprendogli una profonda ferita che, partendo dalla scapola, termina addirittura allo stomaco. Questa scena, caratterizzata da un’epica violenza, è raffigurata su uno degli Arazzi fiamminghi della Battaglia di Pavia conservati nel Museo di Capodimonte a Napoli. E sembra proprio di vederlo, il “Re de li Francesi”, che avanza impetuoso e volece, seminando sangue nell’esercito nemico. Lui, già di per sé alto circa un metro e ottanta, di corportatura robusta, lanciato in sella al suo destriero, ha senza dubbio infuso un profondo e agghiacciante timore in chi tentava inutilmente di fermarlo. Tra le grida e i mille rumori della battaglia però, improvvisamente si ode anche un colpo di archibugio che colpisce e uccide il suo cavallo. L’animale muore e crolla a terra schiacciando e imprigionando la gamba sinistra del re. Subito i fanti nemici gli si avventano addosso con l’intenzione di ucciderlo, ma egli continua a brandire la spada e riesce, pur in quelle condizioni, a difendersi. Poi alcuni ufficiali spagnoli lo riconoscono, fermano i soldati e lo fanno prigioniero. Ormai catturato, Francesco si arrende ufficialmente consegnando la spada al comandante dell'esercito ispano-imperiale, Charles de Lannoy, Vicerè di Napoli. Nel riceverla, il capo dei nemici si inchina, segno di rispetto davanti al coraggio, alla forza, alla Storia.

Il modello conservato dai “Cavalieri della Zuppa Alla Pavese” è appunto depositario di questi valori

e per questo è usato nella parte più importante del cerimoniale di intronizzazione dei nuovi cavalieri. Solo quando il Gran Maestro Gigi Rognoni ha toccato tre volte con la spada l’aspirante membro, quest’ ultimo diviene a tutti gli effetti “Cavaliere del Sodalizio”. La sagoma e le misure della spada sono state portate alle mani degli artigiani dal professor Luigi Casali, affermato storico che, in base a ricerche approfondite, ha potuto fornire le esatte fattezze di ogni singola parte dell’ arma. Ci piace pensare che, Appena dopo la Battaglia di Pavia, quando Francesco I si trova nella cascina Repentita, davanti a una tazza di Zuppa alla Pavese preparata da una semplice contadina, la sua spada fosse là con lui. Magari appoggiata alla base di un muro scrostato e povero, con la punta sul pavimento. Quasi un silenzioso e dignitoso addio al suo unico padrone, al suo unico re.
 
Da Il Punto, 1 luglio 2013

 

 

 

 

sabato 27 aprile 2013

Comune di Lomello
 
VENERDI' 3 MAGGIO 2013
 
 alle ore 21
 
 
 
Un uomo chiamato Gioànn ... aneddoti breriani 
 
Incontro con l'autore
 
Lino Veneroni
 
 
 
Maurizio Ravazzani, presidente A.N.I.O.C. Pavia
 
 
presenta i relatori:
 
 

Giuseppe Piovera  Sindaco di Lomello
Massimo Granata  assessore alla Cultura
Gianfranco Magenta  Scrittore storico lomellino
Andrea Borghi  Giornalista e critico letterario
Paolo Calvi  Giornalista
Fabrizio Lana  Poeta dei sentimenti
Gigi Rognoni  Presidente Circolo Culturale La Barcèla
Lino Veneroni  L'autore

sabato 30 marzo 2013

"Un uomo chiamato Gioànn" di Lino Veneroni



Genti di Lomellina, dell’Oltrepò e del Pavese
 
 
 
 

“Genti”, come dice bene il titolo, è un libro dedicato alle persone della nostra provincia. I protagonisti di queste pagine sono uomini e donne che riflettono realtà, storia, fede, tradizioni e lavori che hanno caratterizzato la nostra terra e, a volte in modo diverso, continuano ad appartenerci e a raccontarci.
Il volume è una finestra aperta davanti alla quale sfilano le vicende dei contadini e delle mondine, dei viticoltori oltrepadani e degli operai di quella “grande fabbrica” che fu la Necchi.. Queste pagine offrono una stupenda panoramica in cui non si dimentica nessuno, nemmeno quanti sono chiamati “i marginali”. Anche loro, che fanno della piazza la loro casa, sono stati parte attiva della nostra storia. Ecco allora battitori, imbonitori e cantastorie, che facevano un mercato di parole, raccontarsi accanto a ghiaiaroli e navatori, “capitani coraggiosi” dei loro barcé sul Ticino o sul Po.
Quest’opera è una raccolta di scritti di diversi autori, ognuno dei quali ha affrontato un diverso argomento. Tra quanti hanno collaborato, segnaliamo particolarmente Alberto Arecchi, architetto che vanta numerose pubblicazioni su Pavia, e Glauco Sanga, ricercatore e assistente del professor Angelo Stella, docente di Storia della Lingua Italiana presso il nostro Ateneo.
Nella struttura del libro, meritano certamente una menzione speciale le numerose testimonianze autobiografiche di genti che, nate all’inizio del secolo scorso, hanno raccontato in modo diretto ed eloquente, il loro mondo e i cambiamenti che l’hanno attraversato, trasformato, plasmato. A narrare in prima persona sono contadini della bassa, preti di Lomellina, calzolai vigevanesi, ma anche operai impegnati in scioperi o soldati combattenti nella Resistenza. Ogni esposizione autobiografica diviene una sorta di certificazione del passato, perché descritto da chi l’ha visto con i propri occhi e l’ha vissuto con il proprio cuore.
Circa quattrocento immagini, tra fotografie e disegni, arricchiscono le pagine di questo bel libro di cui la gente è certo protagonista, ma anche dedicataria.

Genti di Lomellina, dell’Oltrepò e del Pavese, Formicona editrice.

I pruverbi ad Pavia

di F. Ogliari e F. Fava
 
 

Pavia, città di storia e di nebbia, di filosofia e di re, di arte e di scienza, ha tanti modi per raccontarsi alla gente. In questo libro lo fa con un linguaggio del tutto particolare, fatto di frasi brevi e di parole semplici. Pavia, signora antica e sempre moderna, sa, dall’alto dei suoi anni, che le cose importanti si possono dire meglio con termini poveri, ma veri ed efficaci. Ecco allora che, in queste pagine, Pavia ci parla attraverso i proverbi, piccole, preziose perle di saggezza.
Con brevi, veloci e gustosi detti si delinea il ritratto colmo di sfumature di una città, della sua gente, del suo esistere. Tanto più che ogni proverbio è in dialetto, abito da sera di quelle verità tanto semplici da essere eterne.
Capaci di parlare di tutto a tutti, i proverbi corrono, colpiscono, sorridono, insinuano e, qualche volta, frustano. Dicendo di un mestiere o di una qualità umana, di un frutto o di una stagione, del diavolo o delle nuvole, i proverbi si presentano e si mettono a nostra disposizione. A noi il piacere di ascoltarli, di usarli, di gustarli.
Di questo libro segnaliamo anche le belle fotografie che arricchiscono le pagine. Sono immagini in bianco  e nero, un po’ perché narrano una Pavia del passato, un po’ perché a riempirle di colori ci pensano i proverbi che le incorniciano.

Autori di questa raccolta sono Francesco Ogliari, importante figura della cultura lombarda e nazionale, e Franco Fava. Quest’ultimo, nato a Vigevano, è scrittore e giornalista, autore e regista teatrale. Da sempre appassionato studioso di storia, si è interessato alla cultura e al folklore della nostra terra.

Tre gocce di veleno

a cura di Maria Antonietta Arrigoni e Marco Savini
 
 
 
 

Tre gocce di veleno è senza dubbio un libro particolare e affascinante. Si tratta infatti di un’antologia di fiabe tipiche della Lomellina raccolte da Marco Savini e da sua moglie, Antonietta Arrigoni. Protagonista indiscusso di queste pagine è il dialetto. Anzi, i dialetti che vivono di una propria identità, con le loro differenze e le loro sfumature riconoscibili anche in un territorio ben delimitato come quello lomellino.
Frutto di un’accurata e decennale ricerca sul campo, il volume propone una serie di racconti tradizionali narrati da quindici informatori e colorati dalle tinte tipiche del loro dialetto. I due autori sono collaboratori dell’Archivio delle voci, che, guidato dal professor Angelo Stella, si propone di raccogliere e di conservare testimonianze orali anche come questa. Proprio per la loro esperienza, Arrigoni e Savini si sono dimostrati ancora una volta più che all’altezza delle loro ricerche, regalandoci non solo un’interessante e precisa fotografia di una condizione dialettale, ma anche e soprattutto un piacevolissimo libro che dà alla fantasia popolare il giusto merito nella tradizione, nel folklore, nella cultura.
A parlare sono quindici narratori d’eccezione che raccontano quelle fiabe magiche che hanno ascoltato, da bambini, dai loro nonni. “ Magiche” è davvero l’aggettivo giusto. Un po’ perché portano il lettore nell’antico, misterioso mondo delle favole dove può accadere di tutto e il contrario di tutto, dove non fa paura affrontare certe paure umane. Un po’ perché raccontate nella più bella di tutte le lingue: il proprio dialetto.
Maghi, draghi, animali e uomini si accompagnano nella narrazione, ognuno rispettoso del suo posto, della sua parte, della identità, tanto fatata, da essere umana. Ogni fiaba è riportata fedelmente in  dialetto e tradotta, in modo puntualmente letterale, nella pagina a fianco. Segnaliamo volentieri l’efficacia dei criteri di trascrizione dialettale: semplici e chiari, permettono a tutti una facile e gustosissima lettura.
Libro da non perdere, è da leggere e da rileggere. Magari in classe o davanti al fuoco, da soli o in compagnia. Meglio anche se la compagnia è quella di quanti queste fiabe le hanno ascoltate, vissute, attraversate e, solo allora, raccontate.

Una cometa in cantina

di Sonia Borgese
 
 

Come ben esprime il titolo, questo libro fonde cielo e terra, buio e luce, sogni e realtà.
Carla, narratrice in prima persona di queste pagine, racconta una fetta della sua vita trascorsa in un’atmosfera particolare, tutta sua, ma condivisa da tante altre persone, spesso mistica eppure quotidiana. Del resto, il contrasto ( e non la contraddizione) è un ingrediente essenziale di questo volume. E’ il contrasto che ogni giorno la vita ci offre, spingendoci o frenandoci, per lascarci camminare verso il nostro Destino.
Carla parla al lettore con naturalezza, come se ogni frase avesse l’aspetto di un pensiero o di un’idea che prendono forma colando dalla sua penna, permettendo a tutti i personaggi di diventare protagonisti discreti e, a volte, addirittura silenziosi di queste pagine.
Il libro non ha una coesione continua, ma i capitoli si susseguono diversi, inattesi, sembra quasi fuori luogo. Ma, nell’economia dell’opera, questo stile rapsodico e improvviso si rivela affascinante caratteristica distintiva di una scrittrice di cui certamente sentiremo molto parlare.
I ricordi della guerra, un misterioso rifugiato, le lucciole, una figlia, gli amici e una libreria si mischiano nell’intreccio di queste pagine colorandole con tinte ora fiamminghe ora impressionistiche e lasciando al lettore tutto lo spazio necessario a osservare le sfumature.
Filo conduttore di tutto lo scritto è l’esistenza umana in tutti i suoi modi di proporsi: la curiosità, l’intraprendenza, l’abitudine, il coraggio e la paura ci dicono che a volte una cometa e una cantina possono essere nello stesso posto. Cometa  e cantina, due cose così diverse, ma due pieghe uguali di “quel pigiama arrotolato che si chiama Vita”.

 

Una cometa in cantina, di Sonia Borghese, edizioni Eumeswil, Broni.

 

Giuan al mat
 
di A. Faravelli

 

 

 

 

A Pavia ci sono due fiumi. Uno, il Ticino, l'altro, quello formato dai pavesi e dalle loro vite. E se il primo scorre silenzioso e testimone, il secondo invade le strade e le allaga di voci, di volti, di storie. E’ uno scorrere impetuoso e imponente, ma benevolo e invitante, le cui acque sono formate da tante gocce colorate e diverse. Alcune di esse inevitabilmente si notano prima di altre. Forse perché più brillanti, forse solo perché rispecchiano la voce della semplicità che ci regala questo bel volumetto, vera e propria passeggiata in una Pavia di cento anni fa quando nelle sue strade si incontravano quotidianamente personaggi come ´Giuan al mat. Lui, che matto non lo era mai stato, fu una delle figure più caratteristiche di quel tempo. Figlio di un garibaldino, dal genitore aveva preso certamente il coraggio e lo spirito d'iniziativa. Osservando la gente che lavorava, capiva quale potesse essere il bisogno: cibo pronto, caldo e a buon prezzo per una pausa pranzo gustosa e rasserenante. Eccolo allora vendere in ´Piasa Granda' polenta e merluzzo o polenta e ´sarach. Il successo? Immediato. Sia per la capacità di cucinare, sia per quella di piacere alle persone, non solo i lavoratori, ma anche le massaie ricorrono a lui per risolvere, con gusto e comodità, il problema del pranzo. Lui conosce tutti e tutti conoscono lui. Così, quando decide di cambiare attività, la sua già affezionata clientela lo segue in tutte le sue avventure: venditore di frutta e di verdura in piazza o, mascherato da donna, di coriandoli, trombette e stelle filanti durante il periodo del Carnevale. Sempre con al seguito i suoi clienti, vecchi e nuovi, ormai affezionati a questa imprevedibile e piacevole persona. Attorno a ´Giuan ruota tutta una serie di altre figure caratteristiche, tipicamente pavesi, riconoscibili dai loro soprannomi. Come il ´Ricam', così detto per i segni lasciati sul viso dal vaiolo, o il ´Tamordi ( ti mordo) che aveva fatto di un suo intercalare una vera e propria identità. Pe non parlare poi dell'affascinate e malinconica figura del ´Prufesur dla carta': laureato in lingue, discendente di una famiglia benestante e colta, non riesce ad affermarsi e si vede costretto, per tirare avanti, a raccogliere carta per rivenderla ai bottegai. E che dire dell'ormai leggendario ´Papetti, " 'l ciapa can" che, accalappiacani del comune, una volta, stupito dallo strano modo di abbaiare di un cane appena catturato, si accorge, con calma, che si tratta di una pecora. Questi sono solo alcuni dei gustosi e a tratti geniali personaggi che vengono dipinti e raccontati in queste pagine. Autore del volume è Agostino Faravelli. Appassionato di Pavia e dei suoi dialetti, vanta numerose collaborazioni con le principali riviste goliardiche presso il teatro Fraschini. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie e di prose, in italiano e in dialetto.


 

Uomini veri dalla pelle rossa
 
di G.F. Agoni



 

 

E' davvero possibile fermare il tempo e magari rivoltarlo, andando a toccare con mano la storia di un uomo, di un popolo, di un'era? Forse sì. Ce lo dicono queste bellissime pagine intrise di avventura, di sentimento, di storia. Sembra veramente un caso voluto dal Fato, da Dio o dal “Grande Spirito” degli Sioux che, in un caldo giorno del 1964, un medico italiano debba fermarsi a fare benzina in una stazione di rifornimento americana. Attorno a essa non c'è granché. Solo boschi, colline e la strada. Al suo interno invece lo aspetta il cancello dorato di un incontro capace di cambiare la vita, la mente, l'anima. A gestire il piccolo bar della stazione c'è Vera, enigmatica e affascinante donna. Decisa, pronta, un po' bruciata dalla vita, guarda passare i suoi giorni facendo gli stessi, abituali gesti e salutando le poche persone, per lo più sconosciute, che, di passaggio, entrano, bevono e vanno via. Anche Jacob Lavis, legato a Vera da un affetto fraterno, pare proprio far parte di quel piccolo tutto in quel piccolo mondo. E così, da una conoscenza improvvisa e inaspettata, il medico viene a spere che c'è qualcuno capace di raccontare una storia vera: il vecchio Mato Ska, uno degli ultimi Sioux. L'anziano però non solo vive tra i boschi ed è malato, ma anche è fortemente restio a incontrare gente nuova. Certo, un buon medico non poteva sottrarsi a ciò che fosse giusto fare. Con Jacob lo raggiunge, lo cura e diviene suo amico. e proprio in virtù di eamicizia che Mato Ska apre il suo cuore e la sua memoria, libro profumato di ricordi e forte come le onde di un mare che ruggisce, a chi ritiene degno di ascoltarlo. Così  prende forma la narrazione entusiasmante di una vita diversa, passata tra altre persone, tra altre guerre, tra altri mondi. è il racconto della sua gente, quella dalla pelle rossa, fatta di uomini quasi uguali a quei “visi pallidi” che, quasi precipitati da chissà dove nelle loro terre, avevano preso, sparato, conquistato. Il volume non vuole essere una limitata e scontata apologia. Anzi, ci regala tutti gli eventi di storie di vita, d'amore, di lealtà. Attraverso le parole di Mato Ska riprendono vita quei personaggi antichi, epici eroi di una cultura forse lontana, ma esemplare e accattivante. Eccolo ricordare e spiegare le usanze, le battaglie, le speranze e i desideri di persone appartenenti a una realtà particolarissima, fatta di accampamenti e di saggezza. L'elemento del passato si incastona perfettamente con il presente. La storia di Mato Ska si intreccia con quella del medico, con quella di Vera e, paradossalmente, con la sua. Come un fuoco che ipnotizza, il vecchio indiano parla e, senza saperlo, si trova testimone anche di ciò che accade agli altri personaggi. Ecco allora che le prole antiche fanno da colonna sonora a un amore, a un inaspettato ritrovamento e a tantissime altre cose. Dalla trama certamente ben strutturata, il romanzo si dipana con una prosa scorrevole, mite e piacevole, ben capace di presentare il vorticoso susseguirsi di avvenimenti, mai prevedibili, mai scontati. Autore di questo romanzo è Giuseppe Franco Agoni. Già presente in questa rubrica con i romanzi “Il nido dello scorpione” e “Il ragazzo dagli occhi di cielo” è una persona decisamente eclettica. Ha visitato numerosi Paesi dall’Oriente all’Occidente. Attualmente vive a Rivanazzano e al suo attivo vanta numerosi romanzi.

Il ragazzo dagli occhi di cielo
 
di G.F. Agoni



 
  

1875. Garibaldi lascia Caprera per recarsi a Roma per pronunciare alla Camera un suo storico discorso, in un clima colmo di speranze e di dubbi all'indomani dell'Unità. Mentre queste cose accadono in Italia, dall'altra parte del mondo, in Canada, si apre una tenda di un accampamento indiano. Fa capolino un ragazzo di quattordici anni che respira l'aria frizzante del mattino e si sofferma, per qualche istante, a guardare il cielo, azzurro come i suoi occhi. Si tratta di Blusky, un ragazzo “caduto dalle nuvole”. E sembrava proprio fosse così, quando fu trovato, solo e magro, in mezzo a quelle nuvole di fumo che solo una battaglia sa lasciare attorno. Raccolto da un capo indiano, viene allevato da lui e dalla sua compagna. Un figlio desiderato, un figlio arrivato dal vago di una nebbia quasi divina. Forse Manitù ascoltava davvero le preghiere di quanti si rivolgevano a lui. Il bimbo non ha nulla. Vicino a lui solo una borsa che contiene fogli di carta con strane linee. Gli indiani non avrebbero potuto sapere che quelle macchie di inchiostro erano “scrittura”. Blusky entra a far parte in tutto e per tutto della sua nuova vita. Cresce e si fa riconoscere per il suo coraggio, per la sua lealtà, per il suo grande cuore. Anche Moony, ragazza poco più giovane di lui, apprezza le sue qualità. Tra loro scatta anche un magico legame. Ma, come è risaputo, I bambini sono la bocca della verità. Una amico, quasi a vendicarsi, svela a Blusky che I suoi veri genitori non sono nell'accampamento. Da qui inizia l'avventura del giovanissimo protagonista che vuole fortemente scoprire, vedere, sapere e soprattutto incontrare. In u frangente emerge, forse più che in tutto il racconto, la grande e vera civiltà degli Indiani d'America. I suoi genitori adottivi infatti accettano che parta per arrivare alle sue origini. Dalle lettere ritrovate, grazie all'aiuto di alcuni mercanti, affiorano alcuni indizi. Il suo grande animo non può e non vuole tralasciarne nemmeno uno. E il viaggio comincia. Ad accompagnarlo è Alce Nero, forte e fidato compagno. Insieme si mettono “in marcia verso il passato”, un passato misterioso, ma pieno di speranze che forse portano a un futuro di risposte. Da questo momento la narrazione diviene fitta di accadimenti e di personaggi che si susseguono in modo incalzante e inaspettato. Come inaspettati sono i mille ostacoli di un lungo viaggio. Le pagine scorrono velocemente sotto gli occhi del lettore, presentando tante tipologie umane. Banditi, soldati, cameriere e donne di saloon i cui proprietari non sempre sono santi, ma anche amici nuovi e persone generose. Insieme con tutti loro, Blusky attraversa la sua storia lungo le sterminate distese e i freddi monti del Canada. E, in certe pagine colorate da caratteristiche di inquadrature cinematografiche, sembra proprio di vederli accampati davanti al fuoco o in una strada polverosa e secca o avvolti dal vapore che esce dai loro mantelli durante una gelida salita, in una tormenta di neve. Tutto il volume è contraddistinto da un sicuro e piacevole coinvolgimento che non solo presenta i fatti in modo sorprendente, ma li esprime attraverso una prosa lineare, ricca di dialoghi. Sono davvero i personaggi a raccontare la storia.

Queste pagine non sono solo il racconto di un'avventura, ma anche quello di una ricerca. Italiani o indiani, africani o canadesi, tutti gli uomini, nella vita, cercano qualcosa. Non sempre è facile trovare ciò che si cerca. A volte è addirittura impossibile. Ma, a quanti si stanno per arrendere, sarebbe bello far incontrare Blusky. Autore di questo romanzo è Giuseppe Franco Agoni. Già presente in questa rubrica con “Il nido dello scorpione”, è una persona decisamente eclettica. Ha visitato numerosi Paesi dall’Oriente all’Occidente. Attualmente vive a Rivanazzano e al suo attivo vanta numerosi romanzi.

“Il ragazzo dagli occhi di cielo” di G. F. Agoni, Guardamagna Editori in Varzi

Batud ca fa rid
 
di Virginio Inzaghi

 


 

Come abbiamo già avuto modo di ribadire più volte in questa rubrica, i dialetti possono essere usati anche a scopo lirico. Il vernacolo infatti, se adoperato nel modo giusto, riesce a far parlare i sentimenti più profondi. Tuttavia sarebbe un limite riconoscergli solo questa capacità. Non si dimentichi che se un dialetto sa far commuovere, sa anche dar sorridere. È proprio quello che ci offre questa raccolta di componimenti in puro dialetto pavese, quello della città. Ogni poesia ritrae un personaggio, una battuta, un istante in cui si riconosce non solo il pavese, ma pure l'umorismo pavese, tutto particolare, completo, semplice e aggraziato, efficace, tagliente e bonario. Ne emergono vere e proprie “macchiette” imprevedibili ed esilaranti, come quel tale che, vinto un paio di sci d'acqua coi punti del supermercato, se ne andò a lungo in cerca di un “laghetto in discesa”. Per non parlare di certi vigili cui sfugge il numero di targa, ma ricordano bene le misure della signora al volante. Così, credendo che i “daltonici” siano gli “stranieri”, applicano leggi e multe “come per gli italiani”. Ma in queste pagine si parla anche di “intelligenza”, quella contesa tra moglie e marito. Tra tante discussioni per stabilire chi, nella coppia, sia più intelligente, la conclusione emerge da un ragionamento semplice e tagliente di lui: “Cara, tra me e te, sei più intelligente tu: gli uomini intelligenti non sono sposati…”. Questi sono solo pochissimi assaggi delle divertenti figure che si incontreranno leggendo questo volume. La comicità e il sorriso che le caratterizzano sono lineari, privi di volgarità, costruiti sulle parole di un dialetto quotidiano, parlato in famiglia o con gli amici.  Sotto il comune denominatore dell’umorismo, scorrono diverse tematiche che vanno da “Adamo ed Eva” al “Pustegiatur d’ucasiòn”, dal “Peletè” al “Barbè invidius” attraverso le belle e colorate vie del dialetto. Autore di questo volume è Virginio Inzaghi.

Poeta dialettale e storico di Pavia è stato per molti anni presidente del Circolo Culturale Recisole. Ha tradotto i vangeli in dialetto pavese ed è stato docente presso l’UNITRE di Pavia fino al 2006. Ha compilato un’enciclopedia in sei volumi sulla storia di Pavia e un dizionario del dialetto pavese. La sua personalità e il suo carattere emergono però dalle innumerevoli poesie dialettali.

martedì 19 febbraio 2013


Chaucer nella Pavia dei Visconti

di Sisto Capra

Come era Pavia nel medioevo? Per una volta a rispondere a questa affascinante domanda non sono né manuali né professori, ma un narratore d’eccezione: Geoffrey Chaucer. Il grande poeta inglese racconta il suo viaggio in Lombardia. In particolare tra le strade e le persone della nostra città. Come una sorta di “Dante pavese”, anche Chaucer è guidato da un Virgilio: il professor Alimondo Beccaria. Questi presenta e spiega, introduce e fa incontrare il volto passato e  presente della città. Così, mentre mostra il “centro perfetto di Pavia” all’illustre visitatore, spiega anche a noi che oggi, proprio in quel punto, c’è la più famosa pellicceria d’Italia. Si crea quindi un bellissimo gioco d’identità e di spazi lungo un piacevolissimo ponte temporale.
Il lettore scopre, insieme con Chaucer, Pavia, le sue vie, i vicoli, le chiese oggi scomparse, il “Palazzo” e quella “Piazza grande”, giardino del commercio fiorito di bancarelle che oggi si trovano sotto la pavimentazione.
Anche se utilizza informazioni scientifiche e affidabili, questo libro non vuole essere un saggio storico. Forse nemmeno un romanzo, sebbene il taglio narrativo induca piacevolmente e a pensarlo. L’ultima parte risulta infatti particolarmente avvincente e, in certo modo, avventurosa. Pensiamo che queste pagine vadano viste come il racconto che un grande poeta ha fatto di Pavia, un luogo visitato, gustato e messo tra quelle preziose cose che meritano di restare tra i quattro angoli del cuore.
Segnaliamo volentieri una bellissima postfazione di monsignor Giovanni Giudici, vescovo di Pavia. Dalle sue frasi si evincono affetto e  attenzione per la nostra storia.
Autore del volume è Sisto Capra, giornalista e condirettore de “Il giornale di Socrate al caffè”.
La prosa di Capra è scorrevole, chiara, davvero capace di raccontare. Anche a Chaucer sarebbe piaciuta.

PazzaPavia e altri racconti

 di R. A. Fiocchi

In questo libro dove Pavia fa rima con fantasia, Romano Augusto Fiocchi propone una serie di racconti nati dalla sua inventiva e ambientati nella nostra città. La Pavia che ci viene proposta è incantata, silenziosa e, a tratti, misteriosa. Avvolti dalla nebbia o inquadrati in giorni in cui “scarnebbia”,  i personaggi della narrazione sono protagonisti di fatti surreali, di incontri spesso inspiegabili, apparentemente lontani dalla realtà. Non per nulla la prima storia, che dà il titolo al volume, parla di “PazzaPavia”, una strana e vaga figura di donna che appare, una sera d’inverno, e nel freddo scompare. Forse per sempre.
Gli episodi onirici si alternano con altri tanto quotidiani da sembrare ancora più magici, se visti non secondo i rigidi schemi della ragione, ma con occhi più semplici, come quelli della piccola Lisa. Una bambina e una rondine fanno già una storia. Di queste pagine colpiscono soprattutto le prospettive attraverso le quali si narrano gli eventi. La città diviene quindi una muta cornice delle cose. Muta, ma certamente non priva dei suoi colori pavesi, ora con sfumature più delicate, ora con tinte appassionate. Tra le sue strade, davanti alle sue chiese o sul Ponte Coperto cammina la Fantasia, personaggio d’eccezione che conosce vicoli, storie e segreti. Quando, forse per caso o forse per sua volontà, si imbatte in qualche passante, lo ferma, gli parla, gli racconta. Lo fa partecipe di quei “fantasmi buoni” che, come la nebbia, non sanno stare senza Pavia.
Segnaliamo volentieri le illustrazioni di Lucillio Fiocchi e di Maggi Pisy. Poste prima di ogni capitolo, ben ritraggono il volto di questa Pavia che ogni tanto, come dice Mino Milani, è “fatta della stessa materia di cui sono fatti i sogni”.

PazzaPavia e altri racconti di R.A. Fiocchi, EMI editrice, Pavia

Storia della provincia di Pavia

 

La Storia della provincia di Pavia è un libro di grande valore. L’autore, Rolando Di Bari, ci regala una bellissima lezione di storia. Dall’età preistorica alla Liberazione, le nostre terre pavesi ci raccontano eventi e fatti con la voce delle loro testimonianze, dei loro documenti, della loro gente.
Ogni periodo preso in esame è diviso in tre parti: Lomellina, Oltrepò e Pavese, non solo aree geografiche, ma veri  e propri personaggi che attestano avvenimenti ed episodi. Ecco allora che lo studio del passato diviene tangibile e riscontrabile, anche nelle piccole o grandi tracce che la storia ha lasciato sotto ai nostri occhi, vicino alle nostre case, sulla strada di tutti i giorni.
Questo libro ci permette di conoscere sempre più e meglio la nostra provincia, soprattutto attraverso una precisa, attenta, accurata ricostruzione storica. Infatti il volume non è solo un viaggio dall’antichità ai tempi recenti, ma vuole e riesce a essere una guida, un “manuale” che raccoglie, spiega, e rende vivi i segni e gli eventi di quella storia che sussurra le nostre origini. E saperle vedere significa rendersi conto da dove veniamo, che cosa abbiamo fatto, ma soprattutto chi siamo.
A suggellare quest’opera è una splendida appendice sulla “Storia dell’Amministrazione provinciale”. A firmarla è il professor Marziano Brignoli che, ancora una volta, è l’uomo giusto al posto giusto. Storico tra i più autorevoli ed eclettico scrittore, ha ripercorso la vita dell’Amministrazione pavese dai suoi albori ai giorni nostri. Nelle sue pagine si incontrano le fatiche, le speranze e i risultati dei primi amministratori provinciali. Ci si rende conto dei cambiamenti e dei bisogni della nostra provincia. Soprattutto però si impara a quali grandi nomi – troppo spesso non ricordati a dovere o addirittura dimenticati – sia stata legata la presidenza della nostra Amministrazione. Ci riferiamo a don Giuseppe Robecchi, sacerdote e patriota, primo Presidente del Consiglio provinciale. Ricordiamo Benedetto Cairoli che, protagonista di un’Italia libera e unita, divenne anche Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche Agostino De Pretis, Presidente del Consiglio per ben otto legislature, ha dato lustro alla nostra amministrazione provinciale con la sua presidenza.

Castelli e abbazie della Valle del Ticino

di F. Zucca e F. Ogliari
 
 

Questo libro è una passeggiata tra mura antiche e realtà presenti, lontane e vicine, capaci sempre di parlare, di raccontare, di stupire. Il nostro Ticino scorre e accarezza altri mondi, altre vite, prima di arrivare a Pavia. E, con la sua corrente suggestiva, ce li riporta tutti sotto il Ponte Coperto, per farceli conoscere, per presentarceli. Come lui solo sa fare. Da Locarno, in Svizzera, a Belgioioso la strada non è poi così lunga e risulta intensa, ricca, spesso avventurosa. I castelli e i luoghi di culto hanno la loro storia, i loro fantasmi, i loro santi, i loro miracoli. Leggendo queste pagine si incontrano i segreti, si attraversano le vicende, i colori e le sfumature di una storia che, passando, ha lasciato segni indelebili dipinti sugli affreschi di una chiesa o conservati dietro le sicure mura fortificate di un castello. Ogni monumento è introdotto con notizie storiche, puntuali e precise cui seguono un’accurata descrizione architettonica e le informazioni necessarie per un’eventuale visita. Il volume non è e non vuole essere un semplice catalogo di mere costruzioni, ma una guida davvero capace di consigliare un itinerario che, tra passato e presente, ci riporta dentro quella storia che ci riguarda. Proprio perché narrata da due voci d’eccezione: il Ticino e la sua Valle. Leggendo questo libro non solo “si darà la mano alla Storia”, ma verrà anche voglia di partire. Magari in una domenica d’autunno, quando le foglie cadono e la natura si rimbocca le coperte, per arrivare là dove il tepore dell’antico accarezza l’anima con le sue verità e con le sue fantasie.
Autori di questo volume sono Francesco Ogliari, già apparso in diverse occasioni in questa rubrica, e Fabio Zucca. Questi, docente di Storia delle autonomie locali presso il nostro Ateneo, vanta numerose, apprezzate pubblicazioni e una spiccata sensibilità storica in grado di coinvolgere e trascinare.

Castelli e abbazie della Valle del Ticino di Fabio Zucca e Francesco Ogliari, edizioni Selecta, Pavia.