"E forse ci sono più stelle e segreti e insondabili vie tra noi, nel silenzio, che in tutto il cielo disteso al di là della nebbia." A.Pozzi
sabato 30 marzo 2013
Genti
di Lomellina, dell’Oltrepò e del Pavese
“Genti”, come dice bene
il titolo, è un libro dedicato alle persone della nostra provincia. I
protagonisti di queste pagine sono uomini e donne che riflettono realtà,
storia, fede, tradizioni e lavori che hanno caratterizzato la nostra terra e, a
volte in modo diverso, continuano ad appartenerci e a raccontarci.
Il volume è una
finestra aperta davanti alla quale sfilano le vicende dei contadini e delle
mondine, dei viticoltori oltrepadani e degli operai di quella “grande fabbrica”
che fu la Necchi.. Queste pagine offrono una stupenda panoramica in cui non si
dimentica nessuno, nemmeno quanti sono chiamati “i marginali”. Anche loro, che
fanno della piazza la loro casa, sono stati parte attiva della nostra storia. Ecco
allora battitori, imbonitori e cantastorie, che facevano un mercato di parole,
raccontarsi accanto a ghiaiaroli e navatori, “capitani coraggiosi” dei loro
barcé sul Ticino o sul Po.Quest’opera è una raccolta di scritti di diversi autori, ognuno dei quali ha affrontato un diverso argomento. Tra quanti hanno collaborato, segnaliamo particolarmente Alberto Arecchi, architetto che vanta numerose pubblicazioni su Pavia, e Glauco Sanga, ricercatore e assistente del professor Angelo Stella, docente di Storia della Lingua Italiana presso il nostro Ateneo.
Nella struttura del libro, meritano certamente una menzione speciale le numerose testimonianze autobiografiche di genti che, nate all’inizio del secolo scorso, hanno raccontato in modo diretto ed eloquente, il loro mondo e i cambiamenti che l’hanno attraversato, trasformato, plasmato. A narrare in prima persona sono contadini della bassa, preti di Lomellina, calzolai vigevanesi, ma anche operai impegnati in scioperi o soldati combattenti nella Resistenza. Ogni esposizione autobiografica diviene una sorta di certificazione del passato, perché descritto da chi l’ha visto con i propri occhi e l’ha vissuto con il proprio cuore.
Circa quattrocento immagini, tra fotografie e disegni, arricchiscono le pagine di questo bel libro di cui la gente è certo protagonista, ma anche dedicataria.
Genti
di Lomellina, dell’Oltrepò e del Pavese,
Formicona editrice.
I
pruverbi ad Pavia
di
F. Ogliari e F. Fava
Pavia, città di storia
e di nebbia, di filosofia e di re, di arte e di scienza, ha tanti modi per
raccontarsi alla gente. In questo libro lo fa con un linguaggio del tutto
particolare, fatto di frasi brevi e di parole semplici. Pavia, signora antica e
sempre moderna, sa, dall’alto dei suoi anni, che le cose importanti si possono
dire meglio con termini poveri, ma veri ed efficaci. Ecco allora che, in queste
pagine, Pavia ci parla attraverso i proverbi, piccole, preziose perle di
saggezza.
Con brevi, veloci e
gustosi detti si delinea il ritratto colmo di sfumature di una città, della sua
gente, del suo esistere. Tanto più che ogni proverbio è in dialetto, abito da
sera di quelle verità tanto semplici da essere eterne.Capaci di parlare di tutto a tutti, i proverbi corrono, colpiscono, sorridono, insinuano e, qualche volta, frustano. Dicendo di un mestiere o di una qualità umana, di un frutto o di una stagione, del diavolo o delle nuvole, i proverbi si presentano e si mettono a nostra disposizione. A noi il piacere di ascoltarli, di usarli, di gustarli.
Di questo libro segnaliamo anche le belle fotografie che arricchiscono le pagine. Sono immagini in bianco e nero, un po’ perché narrano una Pavia del passato, un po’ perché a riempirle di colori ci pensano i proverbi che le incorniciano.
Autori di questa
raccolta sono Francesco Ogliari, importante figura della cultura lombarda e
nazionale, e Franco Fava. Quest’ultimo, nato a Vigevano, è scrittore e
giornalista, autore e regista teatrale. Da sempre appassionato studioso di
storia, si è interessato alla cultura e al folklore della nostra terra.
Tre
gocce di veleno
a
cura di Maria Antonietta Arrigoni e Marco Savini
Tre gocce di veleno è
senza dubbio un libro particolare e affascinante. Si tratta infatti di
un’antologia di fiabe tipiche della Lomellina raccolte da Marco Savini e da sua
moglie, Antonietta Arrigoni. Protagonista indiscusso di queste pagine è il
dialetto. Anzi, i dialetti che vivono di una propria identità, con le loro
differenze e le loro sfumature riconoscibili anche in un territorio ben
delimitato come quello lomellino.
Frutto di un’accurata e
decennale ricerca sul campo, il volume propone una serie di racconti
tradizionali narrati da quindici informatori e colorati dalle tinte tipiche del
loro dialetto. I due autori sono collaboratori dell’Archivio delle voci, che,
guidato dal professor Angelo Stella, si propone di raccogliere e di conservare
testimonianze orali anche come questa. Proprio per la loro esperienza, Arrigoni
e Savini si sono dimostrati ancora una volta più che all’altezza delle loro
ricerche, regalandoci non solo un’interessante e precisa fotografia di una
condizione dialettale, ma anche e soprattutto un piacevolissimo libro che dà
alla fantasia popolare il giusto merito nella tradizione, nel folklore, nella
cultura.A parlare sono quindici narratori d’eccezione che raccontano quelle fiabe magiche che hanno ascoltato, da bambini, dai loro nonni. “ Magiche” è davvero l’aggettivo giusto. Un po’ perché portano il lettore nell’antico, misterioso mondo delle favole dove può accadere di tutto e il contrario di tutto, dove non fa paura affrontare certe paure umane. Un po’ perché raccontate nella più bella di tutte le lingue: il proprio dialetto.
Maghi, draghi, animali e uomini si accompagnano nella narrazione, ognuno rispettoso del suo posto, della sua parte, della identità, tanto fatata, da essere umana. Ogni fiaba è riportata fedelmente in dialetto e tradotta, in modo puntualmente letterale, nella pagina a fianco. Segnaliamo volentieri l’efficacia dei criteri di trascrizione dialettale: semplici e chiari, permettono a tutti una facile e gustosissima lettura.
Libro da non perdere, è da leggere e da rileggere. Magari in classe o davanti al fuoco, da soli o in compagnia. Meglio anche se la compagnia è quella di quanti queste fiabe le hanno ascoltate, vissute, attraversate e, solo allora, raccontate.
Una
cometa in cantina
di
Sonia Borgese
Come ben esprime il
titolo, questo libro fonde cielo e terra, buio e luce, sogni e realtà.
Carla, narratrice in
prima persona di queste pagine, racconta una fetta della sua vita trascorsa in
un’atmosfera particolare, tutta sua, ma condivisa da tante altre persone,
spesso mistica eppure quotidiana. Del resto, il contrasto ( e non la
contraddizione) è un ingrediente essenziale di questo volume. E’ il contrasto
che ogni giorno la vita ci offre, spingendoci o frenandoci, per lascarci
camminare verso il nostro Destino.Carla parla al lettore con naturalezza, come se ogni frase avesse l’aspetto di un pensiero o di un’idea che prendono forma colando dalla sua penna, permettendo a tutti i personaggi di diventare protagonisti discreti e, a volte, addirittura silenziosi di queste pagine.
Il libro non ha una coesione continua, ma i capitoli si susseguono diversi, inattesi, sembra quasi fuori luogo. Ma, nell’economia dell’opera, questo stile rapsodico e improvviso si rivela affascinante caratteristica distintiva di una scrittrice di cui certamente sentiremo molto parlare.
I ricordi della guerra, un misterioso rifugiato, le lucciole, una figlia, gli amici e una libreria si mischiano nell’intreccio di queste pagine colorandole con tinte ora fiamminghe ora impressionistiche e lasciando al lettore tutto lo spazio necessario a osservare le sfumature.
Filo conduttore di tutto lo scritto è l’esistenza umana in tutti i suoi modi di proporsi: la curiosità, l’intraprendenza, l’abitudine, il coraggio e la paura ci dicono che a volte una cometa e una cantina possono essere nello stesso posto. Cometa e cantina, due cose così diverse, ma due pieghe uguali di “quel pigiama arrotolato che si chiama Vita”.
Una
cometa in cantina, di Sonia Borghese, edizioni Eumeswil,
Broni.
Giuan
al mat
A
Pavia ci sono due fiumi. Uno, il Ticino, l'altro, quello formato dai pavesi e
dalle loro vite. E se il primo scorre silenzioso e testimone, il secondo invade
le strade e le allaga di voci, di volti, di storie. E’ uno scorrere impetuoso e
imponente, ma benevolo e invitante, le cui acque sono formate da tante gocce
colorate e diverse. Alcune di esse inevitabilmente si notano prima di altre.
Forse perché più brillanti, forse solo perché rispecchiano la voce della
semplicità che ci regala questo bel volumetto, vera e propria
passeggiata in una Pavia di cento anni fa quando nelle sue strade si
incontravano quotidianamente personaggi come ´Giuan al mat. Lui, che matto non
lo era mai stato, fu una delle figure più caratteristiche di quel tempo. Figlio
di un garibaldino, dal genitore aveva preso certamente il coraggio e lo spirito
d'iniziativa. Osservando la gente che lavorava, capiva quale potesse essere il
bisogno: cibo pronto, caldo e a buon prezzo per una pausa pranzo gustosa e
rasserenante. Eccolo allora vendere in ´Piasa Granda' polenta e merluzzo o polenta
e ´sarach. Il successo? Immediato. Sia per la capacità di cucinare, sia per
quella di piacere alle persone, non solo i lavoratori, ma anche le massaie
ricorrono a lui per risolvere, con gusto e comodità, il problema del pranzo.
Lui conosce tutti e tutti conoscono lui. Così, quando decide di cambiare
attività, la sua già affezionata clientela lo segue in tutte le sue avventure:
venditore di frutta e di verdura in piazza o, mascherato da donna, di coriandoli,
trombette e stelle filanti durante il periodo del Carnevale. Sempre con al
seguito i suoi clienti, vecchi e nuovi, ormai affezionati a questa
imprevedibile e piacevole persona. Attorno a ´Giuan ruota tutta una serie di
altre figure caratteristiche, tipicamente pavesi, riconoscibili dai loro
soprannomi. Come il ´Ricam', così detto per i segni lasciati sul viso dal
vaiolo, o il ´Tamordi ( ti mordo) che aveva fatto di un suo intercalare una
vera e propria identità. Pe non parlare poi dell'affascinate e malinconica
figura del ´Prufesur dla carta': laureato in lingue, discendente di una
famiglia benestante e colta, non riesce ad affermarsi e si vede costretto, per
tirare avanti, a raccogliere carta per rivenderla ai bottegai. E che dire
dell'ormai leggendario ´Papetti, " 'l ciapa can" che, accalappiacani del comune,
una volta, stupito dallo strano modo di abbaiare di un cane appena catturato,
si accorge, con calma, che si tratta di una pecora. Questi sono solo alcuni dei
gustosi e a tratti geniali personaggi che vengono dipinti e raccontati in queste
pagine. Autore del volume è Agostino Faravelli. Appassionato di Pavia e dei suoi
dialetti, vanta numerose collaborazioni con le principali riviste goliardiche
presso il teatro Fraschini. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie e di
prose, in italiano e in dialetto.
Giuanal mat
di A. Faravelli, Libreria De Bernardi, Pavia
Uomini veri dalla pelle
rossa
E' davvero possibile fermare il tempo
e magari rivoltarlo, andando a toccare con mano la storia di un uomo, di un
popolo, di un'era? Forse sì. Ce lo dicono queste bellissime pagine intrise di
avventura, di sentimento, di storia. Sembra veramente un caso voluto dal Fato,
da Dio o dal “Grande Spirito” degli Sioux che, in un caldo giorno del 1964, un
medico italiano debba fermarsi a fare benzina in una stazione di rifornimento
americana. Attorno a essa non c'è granché. Solo boschi, colline e la strada. Al
suo interno invece lo aspetta il cancello dorato di un incontro capace di
cambiare la vita, la mente, l'anima. A gestire il piccolo bar della stazione c'è
Vera, enigmatica e affascinante donna. Decisa, pronta, un po' bruciata dalla
vita, guarda passare i suoi giorni facendo gli stessi, abituali gesti e
salutando le poche persone, per lo più sconosciute, che, di passaggio, entrano,
bevono e vanno via. Anche Jacob Lavis, legato a Vera da un affetto fraterno,
pare proprio far parte di quel piccolo tutto in quel piccolo mondo. E così, da
una conoscenza improvvisa e inaspettata, il medico viene a spere che c'è
qualcuno capace di raccontare una storia vera: il vecchio Mato Ska, uno degli
ultimi Sioux. L'anziano però non solo vive tra i boschi ed è malato, ma anche è
fortemente restio a incontrare gente nuova. Certo, un buon medico non poteva
sottrarsi a ciò che fosse giusto fare. Con Jacob lo raggiunge, lo cura e diviene
suo amico. e proprio in virtù di eamicizia che Mato Ska apre il suo cuore
e la sua memoria, libro profumato di ricordi e forte come le onde di un mare
che ruggisce, a chi ritiene degno di ascoltarlo. Così prende forma la narrazione entusiasmante di
una vita diversa, passata tra altre persone, tra altre guerre, tra altri mondi.
è il racconto della sua gente, quella dalla pelle rossa, fatta di uomini quasi
uguali a quei “visi pallidi” che, quasi precipitati da chissà dove nelle loro
terre, avevano preso, sparato, conquistato. Il volume non vuole essere una
limitata e scontata apologia. Anzi, ci regala tutti gli eventi di storie di
vita, d'amore, di lealtà. Attraverso le parole di Mato Ska riprendono vita quei
personaggi antichi, epici eroi di una cultura forse lontana, ma esemplare e
accattivante. Eccolo ricordare e spiegare le usanze, le battaglie, le speranze
e i desideri di persone appartenenti a una realtà particolarissima, fatta di
accampamenti e di saggezza. L'elemento del passato si incastona perfettamente
con il presente. La storia di Mato Ska si intreccia con quella del medico, con
quella di Vera e, paradossalmente, con la sua. Come un fuoco che ipnotizza, il
vecchio indiano parla e, senza saperlo, si trova testimone anche di ciò che
accade agli altri personaggi. Ecco allora che le prole antiche fanno da colonna
sonora a un amore, a un inaspettato ritrovamento e a tantissime altre cose.
Dalla trama certamente ben strutturata, il romanzo si dipana con una prosa
scorrevole, mite e piacevole, ben capace di presentare il vorticoso
susseguirsi di avvenimenti, mai prevedibili, mai scontati. Autore di questo
romanzo è Giuseppe Franco Agoni. Già presente in questa rubrica con i romanzi
“Il nido dello scorpione” e “Il ragazzo dagli occhi di cielo” è una persona
decisamente eclettica. Ha visitato numerosi Paesi dall’Oriente all’Occidente.
Attualmente vive a Rivanazzano e al suo attivo vanta numerosi romanzi.
Il ragazzo dagli occhi di cielo
1875.
Garibaldi lascia Caprera per recarsi a Roma per pronunciare alla Camera un suo
storico discorso, in un clima colmo di speranze e di dubbi all'indomani
dell'Unità. Mentre queste cose accadono in Italia, dall'altra parte del mondo,
in Canada, si apre una tenda di un accampamento indiano. Fa capolino un ragazzo
di quattordici anni che respira l'aria frizzante del mattino e si sofferma, per
qualche istante, a guardare il cielo, azzurro come i suoi occhi. Si tratta di
Blusky, un ragazzo “caduto dalle nuvole”. E sembrava proprio fosse così, quando
fu trovato, solo e magro, in mezzo a quelle nuvole di fumo che solo una
battaglia sa lasciare attorno. Raccolto da un capo indiano, viene allevato da
lui e dalla sua compagna. Un figlio desiderato, un figlio arrivato dal vago di
una nebbia quasi divina. Forse Manitù ascoltava davvero le preghiere di quanti
si rivolgevano a lui. Il bimbo non ha nulla. Vicino a lui solo una borsa che
contiene fogli di carta con strane linee. Gli indiani non avrebbero potuto
sapere che quelle macchie di inchiostro erano “scrittura”. Blusky entra a far
parte in tutto e per tutto della sua nuova vita. Cresce e si fa riconoscere per
il suo coraggio, per la sua lealtà, per il suo grande cuore. Anche Moony,
ragazza poco più giovane di lui, apprezza le sue qualità. Tra loro scatta anche
un magico legame. Ma, come è risaputo, I bambini sono la bocca della verità.
Una amico, quasi a vendicarsi, svela a Blusky che I suoi veri genitori non sono
nell'accampamento. Da qui inizia l'avventura del giovanissimo protagonista che
vuole fortemente scoprire, vedere, sapere e soprattutto incontrare. In u
frangente emerge, forse più che in tutto il racconto, la grande e vera civiltà
degli Indiani d'America. I suoi genitori adottivi infatti accettano che parta
per arrivare alle sue origini. Dalle lettere ritrovate, grazie all'aiuto di
alcuni mercanti, affiorano alcuni indizi. Il suo grande animo non può e non
vuole tralasciarne nemmeno uno. E il viaggio comincia. Ad accompagnarlo è Alce
Nero, forte e fidato compagno. Insieme si mettono “in marcia verso il passato”,
un passato misterioso, ma pieno di speranze che forse portano a un futuro di
risposte. Da questo momento la narrazione diviene fitta di accadimenti e di
personaggi che si susseguono in modo incalzante e inaspettato. Come
inaspettati sono i mille ostacoli di un lungo viaggio. Le pagine scorrono
velocemente sotto gli occhi del lettore, presentando tante tipologie umane.
Banditi, soldati, cameriere e donne di saloon i cui proprietari non sempre sono
santi, ma anche amici nuovi e persone generose. Insieme con tutti loro, Blusky
attraversa la sua storia lungo le sterminate distese e i freddi monti del
Canada. E, in certe pagine colorate da caratteristiche di inquadrature
cinematografiche, sembra proprio di vederli accampati davanti al fuoco o in una
strada polverosa e secca o avvolti dal vapore che esce dai loro mantelli
durante una gelida salita, in una tormenta di neve. Tutto il volume è
contraddistinto da un sicuro e piacevole coinvolgimento che non solo presenta i
fatti in modo sorprendente, ma li esprime attraverso una prosa lineare, ricca di
dialoghi. Sono davvero i personaggi a raccontare la storia.
Queste
pagine non sono solo il racconto di un'avventura, ma anche quello di una
ricerca. Italiani o indiani, africani o canadesi, tutti gli uomini, nella vita,
cercano qualcosa. Non sempre è facile trovare ciò che si cerca. A volte è
addirittura impossibile. Ma, a quanti si stanno per arrendere, sarebbe bello far
incontrare Blusky. Autore di questo romanzo è Giuseppe Franco Agoni. Già
presente in questa rubrica con “Il nido dello scorpione”, è una persona
decisamente eclettica. Ha visitato numerosi Paesi dall’Oriente all’Occidente.
Attualmente vive a Rivanazzano e al suo attivo vanta numerosi romanzi.
“Il
ragazzo dagli occhi di cielo” di G. F. Agoni, Guardamagna Editori in Varzi
Batud ca fa rid
Come abbiamo già avuto modo di ribadire più
volte in questa rubrica, i dialetti possono essere usati anche a scopo lirico.
Il vernacolo infatti, se adoperato nel modo giusto, riesce a far parlare i
sentimenti più profondi. Tuttavia sarebbe un limite riconoscergli solo questa
capacità. Non si dimentichi che se un dialetto sa far commuovere, sa anche dar
sorridere. È proprio quello che ci offre questa raccolta di componimenti in
puro dialetto pavese, quello della città. Ogni poesia ritrae un personaggio,
una battuta, un istante in cui si riconosce non solo il pavese, ma pure
l'umorismo pavese, tutto particolare, completo, semplice e aggraziato,
efficace, tagliente e bonario. Ne emergono vere e proprie “macchiette”
imprevedibili ed esilaranti, come quel tale che, vinto un paio di sci d'acqua
coi punti del supermercato, se ne andò a lungo in cerca di un “laghetto in
discesa”. Per non parlare di certi vigili cui sfugge il numero di targa, ma
ricordano bene le misure della signora al volante. Così, credendo che i
“daltonici” siano gli “stranieri”, applicano leggi e multe “come per gli
italiani”. Ma in queste pagine si parla anche di “intelligenza”, quella contesa
tra moglie e marito. Tra tante discussioni per stabilire chi, nella coppia, sia
più intelligente, la conclusione emerge da un ragionamento semplice e tagliente
di lui: “Cara, tra me e te, sei più intelligente tu: gli uomini intelligenti
non sono sposati…”. Questi sono solo pochissimi assaggi delle divertenti figure
che si incontreranno leggendo questo volume. La comicità e il sorriso che le
caratterizzano sono lineari, privi di volgarità, costruiti sulle parole di un
dialetto quotidiano, parlato in famiglia o con gli amici. Sotto il comune denominatore dell’umorismo,
scorrono diverse tematiche che vanno da “Adamo ed Eva” al “Pustegiatur
d’ucasiòn”, dal “Peletè” al “Barbè invidius” attraverso le belle e colorate vie
del dialetto. Autore di questo volume è Virginio Inzaghi.
Poeta dialettale e storico di Pavia è
stato per molti anni presidente del Circolo Culturale Recisole. Ha tradotto i
vangeli in dialetto pavese ed è stato docente presso l’UNITRE di Pavia fino al
2006. Ha compilato un’enciclopedia in sei volumi sulla storia di Pavia e un
dizionario del dialetto pavese. La sua personalità e il suo carattere emergono
però dalle innumerevoli poesie dialettali.
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