Lui
che aveva volato. Sempre in alto. Sempre lassù. Lui che aveva trovato nel cielo
la sua casa. Lui, proprio lui che si era immerso nell’aperto infinito di un
cielo lontano, si sorprende a dover camminare. Coi piedi ben piantati a terra e
con le mani a scalare pareti di roccia. Non lo ha deciso. Una bambina gli
chiede di seguirlo. E lo fa. Come si fanno tante cose nella vita. Giuste o
sbagliate che siano. Sembra una bella giornata quando la incontra. Una giornata
dalla regolarità quasi in divisa, perfetta e ordinata, per stare ancora fermo a
ricordare, a compiangere. Eppure parte ancora una volta verso un ignoto che non
è più azzurro, ma, a tratti, addirittura nero. Sa di dover cercare la luce. Tra
il fitto di un bosco o in una notte all’aperto. Cercare la luce tra le domande
di una bambina. Le peggiori, perché fatte con l’immediata, disarmante armonia
di chi, come i bambini, è in pace con se stesso. Questa piccola creatura
diviene, nella narrazione, una presenza importante e illuminante. Anche quando,
a volte, scompare. Poi ritorna. Non è mai lontana. Forse bisogna solo saperla
vedere. Queste pagine sono uno scorre fluente di immagini e di dialoghi che
accarezzano l’anima del lettore, strofinandosi contro la sua curiosità. La
semplicità diviene forza umana e narrativa e si arricchisce, con misurata ed
efficace discrezione, di mille simboli, affascinati pedine di questa scacchiera
tra la natura. L’ultima mossa spetta alla bambina. È una mossa vincente. Tanto
vincente da far volare ancora. Autore di questo interessantissimo volume è
Luciano Dal Pont. Nato a Milano, vive a Cava Manara. Pilota d’aerei e corridore
automobilistico, pubblica i suoi scritti da una decina di anni. Scritti che
compariranno presto in questa rubrica.
"E forse ci sono più stelle e segreti e insondabili vie tra noi, nel silenzio, che in tutto il cielo disteso al di là della nebbia." A.Pozzi
domenica 8 febbraio 2015
sabato 7 febbraio 2015
È
proprio così. Non c’è una sola nebbia. Ce ne sono tante. E i Pavesi lo sanno
bene. Loro sanno che, quando tutto si copre di grigio, solo allora si comincia
a vedere lontano. Non importa come. L’importante è che si inizi. In queste
belle pagine, certe nebbie si fanno sottili, forti, incalzanti gocce di vita.
Terrena e non. Perché il non visto si rivela e ci parla con la sua voce, fatta
di lontano e di vicino, di altrove e di quotidiano. Come certi fantasmi sulla
veranda, di cui ci si accorge, per la prima volta, senza volerlo. Eppure erano
lì a dirci che una letterina in più o in meno segna il confine tra Inferno e
Salvezza. Roba da poco. Gocce di nebbia. Ma fiumi di narrativa. Tutto ciò
accade in questo bel volume che è una raccolta di quindici racconti brevi,
secchi di retorica e umidi di emozioni che colano, senza fretta e con semplice
ed efficace misura, davanti agli occhi del lettore. Tanti personaggi. Tante
voci. Tempi e luoghi diversi. Ma tenuti assieme dalla salda cucitura della
buona narrazione. Perché il cane Nerone o l’infermiera Marika, Dennis e Laura o
Gianni Nardi, Parlano con un infinito talmente grande, da essere semplice e a
portata di mano. Del resto la Storia ci insegna che concretezza e sogno non
sono poi così lontani. Leggendo questo libro ci si affaccia a quindici finestre
spalancate tanto verso il “chissà” quanto verso il vero. Religione, Magia e
Quotidianità vanno, per una volta, sottobraccio e non si fanno guerra. Come le
storie di queste, pagine sono così diverse. Ma tutte e tre hanno una cosa in
comune: amano passeggiare nella nebbia. Quella nebbia che diventa faro
dell’anima. Le tre amiche ci invitano a fare quattro passi con loro. Non
perdiamo questa occasione. Tutto il libro è caratterizzato da una prosa piana,
agevole, di immediato effetto. Capace di coinvolgere e rendere partecipi. Quasi
come la nebbia su un campo arato.
Autore
di questo interessantissimo volume è Davide Zardo. Nato a Milano, vive a Valle
Lomellina dal 1990. Tipografo, pianista compositore, è anche giornalista,
scrittore e poeta. In futuro certamente ancora presente in questa rubrica
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