domenica 8 febbraio 2015




Lui che aveva volato. Sempre in alto. Sempre lassù. Lui che aveva trovato nel cielo la sua casa. Lui, proprio lui che si era immerso nell’aperto infinito di un cielo lontano, si sorprende a dover camminare. Coi piedi ben piantati a terra e con le mani a scalare pareti di roccia. Non lo ha deciso. Una bambina gli chiede di seguirlo. E lo fa. Come si fanno tante cose nella vita. Giuste o sbagliate che siano. Sembra una bella giornata quando la incontra. Una giornata dalla regolarità quasi in divisa, perfetta e ordinata, per stare ancora fermo a ricordare, a compiangere. Eppure parte ancora una volta verso un ignoto che non è più azzurro, ma, a tratti, addirittura nero. Sa di dover cercare la luce. Tra il fitto di un bosco o in una notte all’aperto. Cercare la luce tra le domande di una bambina. Le peggiori, perché fatte con l’immediata, disarmante armonia di chi, come i bambini, è in pace con se stesso. Questa piccola creatura diviene, nella narrazione, una presenza importante e illuminante. Anche quando, a volte, scompare. Poi ritorna. Non è mai lontana. Forse bisogna solo saperla vedere. Queste pagine sono uno scorre fluente di immagini e di dialoghi che accarezzano l’anima del lettore, strofinandosi contro la sua curiosità. La semplicità diviene forza umana e narrativa e si arricchisce, con misurata ed efficace discrezione, di mille simboli, affascinati pedine di questa scacchiera tra la natura. L’ultima mossa spetta alla bambina. È una mossa vincente. Tanto vincente da far volare ancora. Autore di questo interessantissimo volume è Luciano Dal Pont. Nato a Milano, vive a Cava Manara. Pilota d’aerei e corridore automobilistico, pubblica i suoi scritti da una decina di anni. Scritti che compariranno presto in questa rubrica.

sabato 7 febbraio 2015


 

 

È proprio così. Non c’è una sola nebbia. Ce ne sono tante. E i Pavesi lo sanno bene. Loro sanno che, quando tutto si copre di grigio, solo allora si comincia a vedere lontano. Non importa come. L’importante è che si inizi. In queste belle pagine, certe nebbie si fanno sottili, forti, incalzanti gocce di vita. Terrena e non. Perché il non visto si rivela e ci parla con la sua voce, fatta di lontano e di vicino, di altrove e di quotidiano. Come certi fantasmi sulla veranda, di cui ci si accorge, per la prima volta, senza volerlo. Eppure erano lì a dirci che una letterina in più o in meno segna il confine tra Inferno e Salvezza. Roba da poco. Gocce di nebbia. Ma fiumi di narrativa. Tutto ciò accade in questo bel volume che è una raccolta di quindici racconti brevi, secchi di retorica e umidi di emozioni che colano, senza fretta e con semplice ed efficace misura, davanti agli occhi del lettore. Tanti personaggi. Tante voci. Tempi e luoghi diversi. Ma tenuti assieme dalla salda cucitura della buona narrazione. Perché il cane Nerone o l’infermiera Marika, Dennis e Laura o Gianni Nardi, Parlano con un infinito talmente grande, da essere semplice e a portata di mano. Del resto la Storia ci insegna che concretezza e sogno non sono poi così lontani. Leggendo questo libro ci si affaccia a quindici finestre spalancate tanto verso il “chissà” quanto verso il vero. Religione, Magia e Quotidianità vanno, per una volta, sottobraccio e non si fanno guerra. Come le storie di queste, pagine sono così diverse. Ma tutte e tre hanno una cosa in comune: amano passeggiare nella nebbia. Quella nebbia che diventa faro dell’anima. Le tre amiche ci invitano a fare quattro passi con loro. Non perdiamo questa occasione. Tutto il libro è caratterizzato da una prosa piana, agevole, di immediato effetto. Capace di coinvolgere e rendere partecipi. Quasi come la nebbia su un campo arato.

Autore di questo interessantissimo volume è Davide Zardo. Nato a Milano, vive a Valle Lomellina dal 1990. Tipografo, pianista compositore, è anche giornalista, scrittore e poeta. In futuro certamente ancora presente in questa rubrica